20 ottobre 1944. L’infame crimine di Gorla

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Così morirono a Milano 184 bambini delle elementari e i loro insegnanti

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Riprendiamo il testo dell’intervento, dal titolo “Quella fatidica mattina”, che il nostro carissimo amico e collaboratore Luciano Garibaldi tenne il 20 ottobre 2019, al convegno organizzato alla scadenza del 75° anniversario della orrenda strage di Gorla, dall’ANVCG (Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra), con il patrocinio del Municipio 2 di Milano.

PD

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Quella fatidica mattina

di Luciano Garibaldi

 

Sono nato a Roma e sono stato testimone del primo bombardamento su Roma della seconda guerra mondiale. Era il 19 luglio 1943. Avevo 7 anni e avevo accompagnato mia mamma al mercato di San Lorenzo. Verso le 11 del mattino suonò l’allarme. Non tutti si precipitarono verso i rifugi antiaerei. Si stentava a credere che gli Alleati avessero deciso di bombardare la città del Sommo Pontefice, la capitale del cattolicesimo. Non lo avevano fatto durante ben tre anni di guerra. Io e la mamma ci salvammo, ma quella mattina San Lorenzo divenne un cimitero: tremila morti, più di diecimila feriti, quattromila bombe sganciate da 300 bombardieri americani. Il giorno era stato scelto a ragion veduta: Mussolini non era a Roma. Era andato a Feltre per incontrarsi con Hitler. Quel massacro fu un feroce messaggio subliminale.

Ho ancora ben presente l’immagine di Papa Pacelli, Pio XII, che, giunto sul posto, benedice la folla con le mani rivolte al cielo.

Ebbene, per quanto orribile debba essere considerato quel bombardamento, che fu la premessa al crollo del regime fascista, ben più tragici e praticamente interminabili furono i bombardamenti che colpirono Milano non un solo giorno, ma per ben cinque anni, ovvero dal 16 giugno 1940 al 16 aprile 1945, vigilia della Liberazione. Il Bomber Command inglese aveva predisposto elenchi di obiettivi sensibili per colpire duramente la produzione bellica e il morale della popolazione. Fu un martirio senza sosta, che colpì non soltanto gli obiettivi militari, ma, in modo indiscriminato, popolazione civile, agglomerati popolari, scuole, strade, palazzi del centro storico con danni gravissimi a monumenti come il Duomo, Santa Maria delle Grazie, la Galleria, la Scala.

Il culmine di questa serie di sanguinose e criminali imprese fu raggiunto a Gorla. Il 20 ottobre 1944 una formazione di aerei anglo-americani B24 e B27 era in missione per bombardare le officine Breda e la stazione ferroviaria di Greco in prossimità di Milano. Era una giornata soleggiata, priva di foschia e di nubi, ma per un errore di calcolo gran parte degli aerei si trovò nell¹impossibilità di colpire i bersagli strategici prefissati. Nonostante la consapevolezza di ciò, alle ore 11,24 gli aerei, prima di rientrare, sganciarono comunque le bombe in una zona abitata e priva di ogni obiettivo militare.

 

«Non sappiamo» – come riferisce il sito Internet www.piccolimartiri.it, dedicato ai bambini di Gorla – «e probabilmente non sapremo mai se la soluzione che scelse il comandante della flottiglia aerea fu frutto di una sua decisione o se era prevista dal suo piano operativo; sappiamo però che in quel momento si concretizzò quello che possiamo definire uno dei peggiori crimini contro l’umanità nella guerra aerea di quegli anni, perché egli ordinò agli altri velivoli di sganciare le bombe subito, sulla città, anche se sotto di lui non c’erano obiettivi militari ma solo abitazioni civili che egli poteva perfettamente vedere date le favorevoli condizioni meteorologiche». E’ un fatto che egli non pagò mai per quel tragico errore, o meglio infame crimine.

Fu così che, alle ore 11,30 di quel tragico 20 ottobre, l’abitato di Gorla, raggiunto da 37 tonnellate di esplosivo, divenne un inferno. Furono colpite case, negozi, officine, ma una bomba più delle altre provocò una strage che avrebbe cambiato la vita del quartiere per sempre: quella che centrò la scuola elementare “Francesco Crispi”. Era un ordigno del peso di 500 chilogrammi e colpì la scuola mentre gli alunni stavano scendendo di corsa nel rifugio. Ci fu un¹esplosione devastante che sventrò completamente l¹edificio scolastico seppellendo sotto le macerie 184 bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni, la direttrice, 14 insegnanti, 4 bidelli e un¹assistente sanitaria. A quella ecatombe dovettero aggiungersi altre 480 persone, civili abitanti a Gorla, uccise durante il bombardamento.

Il merito di averlo ricordato alle future generazioni va soprattutto alle famiglie di quei bimbi uccisi, che vollero, e realizzarono a proprie spese, il monumento, e la cripta che raccoglie i resti del piccoli martiri. Accanto alle lodi e al plauso per le famiglie , va ricordato anche un aspetto negativo di quella tragedia, il fatto  che gli Stati Uniti non hanno punito mai, nemmeno con un richiamo, i loro piloti che, per incapacità, superficialità e indifferenza, scaricarono le loro bombe, anziché sugli obiettivi militari (fabbriche, ponti, eccetera), sui quartieri di Turro, Gorla e Precotto, nella Milano Nord.

Ricordando Gorla, e i sanguinosi e indiscriminati bombardamenti che inondarono Milano di lacrime e sangue, è doveroso anche ricordare gli eroici aviatori italiani che cercarono in tutti i modi, privi di mezzi, forti soltanto del loro coraggio, di contrastare le orde assassine arrivate dal cielo. Non posso esimermi, dunque, dal rievocare una eroica figura della storia militare italiana, ingiustamente dimenticata: il comandante del gruppo caccia «Asso di Bastoni», Maggiore Adriano Visconti. Fino all’estate del 1943, Visconti aveva combattuto nei cieli dell’Africa settentrionale guadagnando 4 Medaglie d’argento al VM e una Medaglia di bronzo nonché i gradi di tenente e  capitano. L’8 settembre del ’43 lo colse a Decimomannu, da dove – rimasto senza ordini – decise di partire con tre Macchi, seguito da un pugno di ufficiali e avieri e raggiunse Guidonia. «Ciò che lo spinse a riprendere a combattere», scriverà Mario Montano, uno dei suoi piloti, divenuto, nel dopoguerra, scrittore di libri di storia dell’aeronautica, «non fu una motivazione ideologica ma furono i bombardamenti indiscriminati degli anglo-americani».

Nominato comandante del 1° Gruppo caccia, con base a Campoformido (Veneto), sostenne, nei soli primi sei mesi di attività, durissimi combattimenti totalizzando 38 vittorie, con l’abbattimento di 4 «fortezze volanti» e 22 bimotori, e meritandosi anche più d’una copertina di Achille Beltrame sulla «Domenica del Corriere». Il bilancio del 1° Gruppo caccia fu di 113 aerei nemici abbattuti, 49 piloti Caduti, 55 aerei perduti in combattimento.

Dopo la resa al CLN (Comitato di Liberazione nazionale) siglata il 28 aprile 1945 a Gallarate, sottufficiali e avieri furono rimessi in libertà, mentre Visconti, con 60 ufficiali e due Ausiliarie, fu portato alla caserma di via Vincenzo Monti, a Milano. Qui, alle ore 14 del 29 aprile, Visconti fu fatto uscire per essere interrogato. Volle seguirlo il suo aiutante, sottotenente Valerio Stefanini. Mentre attraversavano il cortile, i due vennero abbattuti a raffiche di mitra e due colpi alla nuca.

In Italia, Visconti è stato completamente dimenticato. Gli Stati Uniti, invece, riconoscendolo «asso dell’Aeronautica italiana» per le 26 vittorie riportate durante la 2.a Guerra Mondiale, lo hanno immortalato con una foto nel «Museo dell’Aria e dello Spazio» di Washington unitamente al capitano Franco Bordoni Bisleri e, per la Prima Guerra Mondiale, a Francesco Baracca.

Non è possibile concludere questa rievocazione storica senza riconoscere, al Comitato Piccoli Martiri di Gorla, che ogni anno organizza e celebra l’anniversario, il merito di avere promosso e continuato a sostenere, con l’appoggio del Comune di Milano, il ricordo e il culto di quelle vittime innocenti. Il Comitato fu costituito all’indomani della strage dai genitori dei bambini massacrati, con il preciso scopo di realizzare un monumento-ossario dedicato ai loro adorati bambini. Si mobilitarono istituzioni e aziende come il Teatro alla Scala, la Rinascente, le Acciaierie Falck, mentre lo scultore Remo Brioschi realizzò lo splendido monumento della mamma piangente sulle cui braccia è adagiato il figlioletto ucciso. Il monumento fu inaugurato il 20 ottobre 1947 e da quel momento, negli anni successivi, i resti delle piccole vittime, unitamente a quelli dei loro insegnanti, furono traslati dai vari cimiteri dove avevano trovato sepoltura al loculo che sorge in piazza Piccoli Martiri. Non va dimenticato che i promotori del benemerito Comitato, in un primo tempo, non trovarono collaborazione da parte delle autorità locali, influenzate dalla pressione dei vincitori della guerra, che erano giunti ad offrire una forte somma purché il monumento venisse demolito, in quanto rappresentava una clamorosa condanna della loro incapacità e criminalità. Ma per fortuna l’offerta venne respinta. E così, ogni anno, nell’anniversario di quella tragedia, è l’intera Milano a dire no alla guerra.

L’azione del «Comitato Piccoli Martiri» è particolarmente apprezzata dall’ ANVCG (Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra), che tutela gli interessi e i diritti della marea di persone che hanno subito gravi danni dovuti alla guerra. Basti ricordare che le vittime civili (ossia i Caduti non militari) della seconda guerra mondiale, in Italia, furono 153 mila, di cui oltre 64 mila a causa dei bombardamenti aerei anglo-americani. Per l’esattezza, 25 mila fino all’8 settembre 1943, e 39 mila dal settembre ’43 all’aprile ’45. Cifre spaventose, anche se inferiori alla carneficina dei soldati che persero la vita durante il conflitto: 319.207 (fonte: Istituto centrale di statistica e Ufficio storico SME). E con questi tragici numeri concludo il mio intervento.

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