Il presente articolo di Julio Loredo, pubblicato lo scorso 11 febbraio 2019  su https://www.tradicionyaccion.org.pe/spip.php?article473 , commenta la nomina di Carlos Castillo Mattasoglio, che da semplice prete, esponente di spicco della teologia della liberazione, duramente condannata da San Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, viene nominato vescovo di Lima, divenendo in tal modo primate del Perù.

È interessante rileggere oggi le riflessioni su questa scelta inquietante, perché si inserisce in quel “cambio di paradigma” introdotto da papa Francesco, che raggiungerà l’apice con il prossimo sinodo dell’Amazzonia.

[Traduzione dallo spagnolo di Wanda Massa]

 

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Riguardo all’elezione di un nuovo arcivescovo per Lima

 

La nomina di padre Carlos Castillo Mattasoglio a futuro arcivescovo di Lima, succedendo al cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, è stata una vera sorpresa, motivo di speranza per alcuni, fonte di preoccupazione per altri.

 

 

Come cattolico, apostolico e romano, la mia prima reazione alla nomina del nuovo arcivescovo di Lima è di pregare Dio Nostro Signore, attraverso Maria Santissima, chiedendogli di illuminare il futuro Mons. Castillo nella difficile missione di guidare la sede di Lima. Allo stesso tempo, non posso fare a meno di condividere la preoccupazione di tanti compatrioti, ponendomi alcune domande, con serenità e con Fede.

È sorprendente che un sacerdote semplice – altrimenti sconosciuto al di fuori di certi circoli accademici progressisti – sia stato catapultato nel più alto ufficio ecclesiastico della nostra Patria: quello dell’Arcivescovo Metropolita di Lima e Primate del Perù, scavalcando dozzine di vescovi diocesani e arcivescovi che, secondo la prassi plurisecolare della Chiesa e grazie all’esperienza pastorale già acquisita, sarebbero stati i candidati naturali per questa sede.

E’ inoltre sorprendente che una persona –  che fino a ieri è stata vista con sospetto dall’autorità ecclesiastica come esponente di quella corrente interna alla Pontificia Università Cattolica del Perù (PUCP), censurata da Papa Benedetto XVI nel 2012 a causa di posizioni dottrinali divergenti con il Magistero della Chiesa e atteggiamenti ribelli nei confronti della Gerarchia –  diventare maestro del Magistero che ha sfidato e posto a capo della Gerarchia, che lo contestava.

La nomina di padre Castillo si inserisce pienamente in quello che lo stesso papa Francesco ha definito “un cambio di paradigma” che ispira una “audace rivoluzione culturale”. In altre parole, una rottura radicale con le consuetudini della Chiesa in campo pastorale e persino dottrinale [1].

Con delicatezza, il Cardinale Cipriani ha minimizzato l’impatto della nomina: “Sarebbe stato sminuire una decisione così buona del Papa che voleva appianare i contrasti interni. La Chiesa è il corpo di Cristo. La dimensione di questa nomina è molto più profonda “.

L’atteggiamento del cardinale è comprensibile. Vuole preservare il bene della Chiesa sopra ogni altra cosa. Di fatto, la Chiesa ha duemila anni di storia e la divina promessa di indefettibilità. Non sarà una nomina episcopale che la farà deragliare. Ciò non significa, tuttavia, che le apprensioni della maggioranza dei peruviani siano ingiustificate.

 

Fantasmi del passato

Dal 1968 al 1980 il Perù era in preda della dittatura socialista del Generale Juan Velasco Alvarado, al quale successe il Generale Francisco Morales Bermúdez, che ha lasciato il paese prostrato economicamente e politicamente, ma soprattutto psicologicamente.

Oltre alle varie sinistre comuniste e socialiste, la rivoluzione di Velasco fu sostenuta da una parte della Chiesa. Grandi difensori delle riforme della dittatura militare furono, per esempio, il cardinale Juan Landázuri Ricketts, arcivescovo di Lima; Mons. Luis Bambarén Gastelumendi, vescovo di Chimbote e Mons. José Dammert Bellido, vescovo di Cajamarca. Erano parte di una corrente che ha preso forma proprio in quegli anni, la cosiddetta “teologia della liberazione”, promossa nel 1968 da padre Gustavo Gutiérrez Merino, tra l’altro grande amico di Velasco Alvarado, con il quale si incontrava spesso. In un paese prevalentemente cattolico, il sostegno alla “teologia della liberazione” per il socialismo Velasquista si è dimostrato molto più decisivo di quello della sinistra politica.

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Dal 1980, con molta fatica e sofferenza, il nostro Paese è lentamente risorto, per intraprendere la strada della libertà e della prosperità che ci ha portato all’attuale situazione, di cui, nonostante evidenti problemi, noi ci possiamo dichiarare orgogliosi. Purtroppo non mancano, forse approfittando delle nuove generazioni non hanno sofferto in prima persona l’incubo passato, quelli che propongono un ritorno alle vecchie politiche socialiste, stataliste e populiste che già sembravano essere state inghiottite dal vortice della storia.

Tra i nostalgici del socialismo in salsa creola ci sono alcuni professori della Pontificia Università Cattolica del Perù (PUCP). Nel 1990, con la Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae, Giovanni Paolo II ha affermato la linea che le università cattoliche dovrebbero seguire. I leader del PUCP non si erano conformati a tali regolamenti, permanendo quindi in stato di ribellione. La situazione  ha raggiunto il suo apice nel 2012, quando la Segreteria di Stato della Santa Sede è stata costretta a intervenire sotto il mandato di Benedetto XVI, revocando i titoli di “pontificio” e “cattolico”. Sempre quell’anno, il cardinale Cipriani non rinnovò la licenza per i professori di insegnare teologia nell’università ribelle, una misura che raggiunse padre Carlos Castillo, che all’epoca vi esercitava la docenza.

Tutto questo è cambiato con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Condannata formalmente da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la “teologia della liberazione” ha cominciato a essere riabilitata, all’interno di una politica che ha favorito il socialismo latinoamericano. I titoli di “pontificio” e “cattolico” sono stati restituiti al PUCP e agli insegnanti hanno rinnovato le licenze.

E oggi incontriamo uno di questi professori dell’università ribelle a capo della Chiesa nella più importante arcidiocesi del Perù. Un vero cambio di paradigma, per usare l’espressione di Papa Francesco.

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Un “laico impegnato”

Come afferma lui stesso nella sua autobiografia, Carlos Castillo ha sempre militato a sinistra [2].

Nel 1966 è entrato nel JEC (Gioventù Studentesca Cattolica) e subito dopo nell’UNEC (Unione degli Studenti Cattolici), che accoglieva i settori più di sinistra di Azione Cattolica, il cui cappellano era proprio Padre Gustavo Gutierrez. Dall’UNEC è sorto il Fronte di Coordinamento degli studenti Cristiano Sociali, che sarebbe diventato l’Università di sinistra, poi confluito nel Comitato Organizzatore rivoluzionario, di orientamento marxista [3].

Fu in questa atmosfera politica e ideologicamente riscaldata che Carlos Castillo divenne discepolo di Gustavo Gutierrez e seguace della “teologia della liberazione”. “Ho sviluppato la mia identità con la preoccupazione sociale, con una spiritualità vivente, incarnata e storica, dinamica nel percorrere le vicende umane e sociali del nostro popolo. La Teologia della Liberazione è nata nel calore del nostro impegno cristiano “[4].

Laureato presso l’Università Nazionale di San Marco, dove ha studiato sociologia presso una facoltà impregnata del pensiero marxista, Castillo è andato a lavorare con i minatori a Cerro de Pasco. Nel 1984 è stato ordinato sacerdote dal suo mentore, il Cardinale Juan Landazuri, avendo come padrino il brasiliano Luiz Alberto Gomes de Souza, ex segretario del JUC (Juventude Universitária Católica), sostenitore dello spostamento a sinistra dei laici. Infatti, nel 1961 un settore della JUC fondò Ação Popular, che divenne nel 1968 Ação Popular Marxista Leninista. Nel 1972, l’organizzazione fu sciolta unendosi al Partito Comunista del Brasile [5].

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Idee poco chiare sul “gender”

Sono anche preoccupanti le sue recenti dichiarazioni – di portata non chiara – sul tema del “gender”, la punta di diamante della rivoluzione anti-famiglia. Ad esempio, ha affermato che ogni persona ha, per sua natura, un sesso che non è opzionale e deve essere rispettato; è ciò che insegna la Chiesa. Ma allo stesso tempo afferma che il maschio ha cromosomi “X” che implicano una dimensione femminile che deve assumere. Non è chiaro a noi come promuoverà, in pratica, la realizzazione pastorale di questa sua idea. Sottolinea anche che dobbiamo salvare buone idee sul “gender”, applicando il consiglio di San Paolo: saggiare tutto e mantenere il meglio [6]. Espressioni come questa confondono i fedeli nel momento preciso in cui è necessaria la chiarezza. Quanto sarebbe auspicabile se, di fronte all’assalto internazionale del “gender”, i fedeli trovassero nel loro pastore il faro che illumina con sana dottrina e eviti loro di perdersi nella nebbia dell’inganno!

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Segno dei tempi

La cosa più sorprendente della nomina di padre Carlos Castillo, tuttavia, non è la velocità o l’orientamento dottrinale, ma il momento storico in cui avviene.

Un’analisi puramente superficiale della situazione latinoamericana e mondiale mostra un chiaro spostamento verso destra dell’opinione pubblica, di cui l’elezione del presidente Bolsonaro in Brasile è un segno recente. Proprio qui, in Perù, il candidato della sinistra Veronika Mendoza ha ottenuto nel 2016 il 15,35% dei voti. Il paradigma del “socialismo del XXI secolo”, il Venezuela, sta collassando, e Cuba stessa sta iniziando a implementare riforme in vista della transizione dal post-castrismo. Il socialismo proclamato dalla “teologia della liberazione” si è dimostrato ovunque un clamoroso fallimento. E oggi lo stesso popolo gli sta voltando le spalle.

Si parla tanto di “segni dei tempi”, cioè di quei segni che mostrano la traccia della Provvidenza nella storia. Mi sembra che, in questo caso, i “segni dei tempi” vengano erroneamente interpretati o vengano messi in discussione. La storia, tuttavia, ci mostra che non è una buona strategia andare contro certi venti.

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[1] Cfr. Exhortación Apostólica Veritatis gaudium, apud José Antonio URETA, Il “cambio di paradigma” di Papa Francesco. Continuità o rottura nella missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo Pontificato, Instituto Plinio Corrêa de Oliveira, Roma, 2018.

[2] Cfr. Carlos CASTILLO MATTASOGLIO, Mi experiencia del laicado bajo la era Landázuri: entre testimonio e historia, “UNIFÉ” 12 (2013), pp. 113-122.

[3] Cfr. Julio LOREDO DE IZCUE, Teología de la liberación, salvavidas de plomo para los pobres, Tradición y Acción por un Perú mayor, Lima, pp. 57-59.

[4] CASTILLO MATTASOGLIO, op. cit., p. 116.

[5] Luiz Alberto GOMES DE SOUZA, A JUC. Os estudantes católicos e a política, Vozes, Petrópolis, 1984.

[6] Ver http://www.youtube.com/watch?v=FQ4D5_033WU y “Perú21”, 3-02-2019.

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2 commenti su “Preoccupazione”

  1. Gaetano Fratangelo

    Questo Papa sta introducendo una nuova religione civile, per trasformare la Chiesa in una istituzione politica e sociale il cui compito è la lotta di classe!
    Viene abolita la Verità rivelata in nome della prassi per cui il povero della Bibbia ha ora valenza marxista.
    Ricordo al suo omonimo, che, per S. Francesco, la povertà era uno stato d’animo e non un mezzo per fare la rivoluzione dei poveri contro i ricchi.
    Quindi, viene ignorata la dottrina a favore di una Pastorale e di un Magistero che si occupa del socialismo rivoluzionario che ha già fallito nel Centro e Sud America.

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