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La storia di un americano, i suoi pregi, i suoi difetti, il suo conformismo

 

Si dice che le generalizzazioni non servono, che come non esiste un tipo italiano, anche perché le regioni fanno troppa differenza, così non esiste un tipo americano, e che qualsiasi romanzo dà un’idea insufficiente d’una società, perché i suoi personaggi sono vincolati a un protagonista, a luoghi e rapporti circoscritti, a una trama.

Viceversa un minimo comune denominatore caratterizza un popolo e il relativo cittadino, con determinate origini, una storia, una cultura, una lingua, una classe di governanti e una propria influenza nel vasto mondo. E ci sono romanzi che fanno compiere soggiorni esaurienti in contrade prima malamente conosciute.

Dunque abbiamo un tipo americano, inglese, francese, tedesco, italiano, ecc., ossia le rispettive sociali identità. Considerandole in una data epoca, vi si trovano gli orientamenti civili che spiegano le loro evoluzioni o involuzioni, i loro progressi o regressi, il passato e l’avvenire.

Avviene che un accidente, un cambiamento di regime, rettifichino o peggiorino il corso storico e lo spirito nazionale, quantunque ciò si renda molto difficile o quasi impossibile in certi paesi come negli Stati Uniti, a motivo di un orgoglioso attaccamento della massa al sistema politico instaurato.

L’incomprensione tra gli abitanti delle opposte rive dell’Atlantico, la sorta di complesso di inferiorità culturale americana, per un verso, e di superiorità, basato sull’efficienza e sulla potenza, che spazza via la tradizione e pare incompatibile con la cultura del Vecchio Continente, con la prosopopea dei cugini inglesi, la dicono lunga sulla singolarità del Nuovo Mondo Settentrionale.

Il sociologo può raccogliere i dati per definire il carattere d’una nazione a un dato punto della sua vicenda storica; può spiegare il trascorso andamento del carattere come il suo divenire in atto e fare previsioni circa il futuro.

Il romanziere, fedele alla realtà, può immetterci direttamente in un ristretto consorzio umano, permettendoci di trarne i dati utili a quei giudizi e consentire un fai-da-te sociologico che, avendosi lo scrupolo di rilevare il giusto peso degli elementi, fornisce risultati notevoli, prossimi a quelli degli studiosi dotati d’imparzialità che lavorano con diversi campioni.

Nel 1922 Sinclair Lewis diede alle stampe Babbitt, vicenda, assai episodica e resa in uno stile brillante, d’un capace agente immobiliare, padre di tre figli cresciuti e marito insoddisfatto. Egli riassume in sé pregi e difetti del soggetto statunitense, pur nella sua indole particolarmente irrequieta, che va tenuta in conto mentre pone in evidenza le anomalie a lui circostanti, che passerebbero per normali, e dalle quali Babbitt è spinto ad evadere. Sicché le sue relazioni, rispecchiano bene la mentalità del Paese d’Oltreoceano.

Dobbiamo anche fare la tara alla critica sottilmente antiamericana insita nella narrazione e rilevata dai critici? Lo si può e lo si deve. Dopo di che, disponiamo dei validi mezzi di discernimento.

L’europeo medio si domanda come mai l’aver osato esorbitare con la satira dalla pittura obiettiva degli ambienti e dei caratteri non abbia attirato la taccia di traditore a questo Premio Nobel (1930) per la letteratura, e il patriottismo americano non l’abbia coperto di vario discredito. Sembrerà strano, ma la critica più cruda e persino ostile al genere di vita degli USA ivi è accettata, serve a rivendicare la superiorità di quella democrazia, che vanta la sua inarrivabile libertà. Questa risolverebbe qualunque magagna e corruzione.

Cinema (si ricordino i film di Frank Capra e di John Ford), teatro, libri, rappresentando gli usi di laggiù, ci presentano i mali e le tare di quegli Stati. E anche quando il finale dell’opera non dimostra il loro rimedio o non lo mostra abbastanza, il fatto stesso che si sia sollevato liberamente il coperchio che copre il marcio costituirebbe la catarsi, grazie all’avvenuta manifestazione della Libertà.

Il paradosso è innegabile, ma il mito della facoltà concessa a chiunque di criticare ha fatto presa  anche nel vasto mondo. Certi misfatti, certa mafia, il gangsterismo, l’orribile affarismo e la fraudolenza politica, come possono essere ammissibili, quando potrebbe essere (e in qualche caso alquanto lo fu) prevenuto ed evitato il loro flagello?

Basterebbe questo per qualificare tale filosofia politica e prevedere il destino di coloro che l’hanno adottata. L’equazione del liberalismo: Corruzione + Libertà eccessiva = Bene Comune, non sta in piedi. La formula del Bene Comune è data da un’altra Libertà, che permette di ridurre per quanto possibile la Corruzione e di far prevalere il Vero.

Il romanzo del Lewis ci conduce mediante l’arte alla suddetta conclusione.

Babbitt sposato con una donna mite e regolarmente conformista, legato a lei da un affetto in balia dei soliti malumori e delle divergenze domestiche più o meno passeggere, esercita il mestiere di mediatore d’immobili, nell’adesione ai valori yankee, in particolare della classe borghese medio-alta  in cui cerca di emergere.

All’apparenza, la diversità dalla condizione degli agiati imprenditori europei si presenta di poco momento. Anch’essi sono soci di club, di istituzioni benefiche, di logge e sette. Anch’essi venerano gli affari, il denaro e vengono a compromessi con la coscienza, con gli ideali o con la fede religiosa. Anch’essi conducono una lotta spietata per mantenere bassi i salari e fronteggiare la concorrenza.

Ma, a parte una maggior tutela di impiegati e operai attuata da noi e non laggiù, su certi punti cruciali le differenze si fanno gravi, e si devono a una separazione dalla giustizia salutare, tradizionale, che da noi (più in generale, nell’Europa cattolica e ortodossa), allora, non venne del tutto meno e tenne quasi tutti in soggezione, volenti o nolenti.

La religione cristiana, norma prima della moralità, negli USA assume forme disparate e settarie. Le divisioni e le rivalità delle confessioni religiose, vengono composte dall’eretico americanismo, che prevede l’impossibile potere di tutte le dottrine d’essere proficue e il diritto ad essere ugualmente rispettate. Lo Stato onora un dio del sincretismo, conveniente al suo essere massone e alla mitologia costituzionale (diritto alla felicità terrena, uguaglianza che garantisce ogni possibilità nell’ordine sociale e politico, ecc.). Ciò genera il relativismo etico, l’insorgere d’un diritto soggettivo della coscienza, che un poco alla volta menano all’incredulità sostanziale, alla perdita della bussola, all’abuso della coscienza, alla estesa e legittimata giustificazione dell’immoralità. Si comincia con la giustezza del divorzio e con il preminente diritto dell’amore, e si finisce con il matrimonio omosessuale, passando per l’aborto legalizzato (non molti anni prima aborrito e condannato), per la pornografia, per la droga diffusa, ecc.

Babbitt, la cui famiglia si inurbò nella prospera e progredita città di provincia, pur fregiandosi di una laurea, pur abitando nel nuovo quartiere degli abbienti e dei professionisti, pur ben sistemato nei buoni circoli e in una carica della sua chiesa, è uomo semplice e piuttosto incolto. Sebbene convinto della giustezza della buona condotta di padre di famiglia, indispensabile a un membro notevole della comunità, sebbene vi abbia riportato successi di oratore, stimato promotore delle buone cause, e vada col vento in poppa nelle grosse faccende di compravendita, la sensibilità, che in lui contraddice la destrezza d’affarista, lo rende inquieto del mondo che lo circonda; a un dato segno, la sua insofferenza trova l’unico sbocco e sfogo nella dissipazione.

In fondo hanno scarso peso gli allontanamenti inflittigli dagli straricchi snob e dal banchiere. Approfittando dell’assenza di sua moglie, Babbitt si dà ai corteggiamenti, dapprima per trasporti amorosi che idealizzano le sue eroine, poi scende ai bagordi con una compagnia di rango inferiore, in cui la sua stessa innamorata l’ha introdotto. Nel contempo si compiace di apprezzare, senza farne mistero, un vecchio compagno di università alquanto rivoluzionario, inviso agli imprenditori. La sua ribellione e sfida, giustificata dall’essere un uomo libero nella Patria della libertà, è arrivata a difendere il paladino dei lavoratori tartassati, degli scioperanti, dei socialisti. Invano gli si obietta che il suo modo di essere liberale ha una valenza ambigua, disdicevole per il ceto di cui fa parte e infine per il progresso, che non tollera sovversivi, pretese esose e parassiti. Ormai ghermito dalle passioni inclusa quella per  i festini con balli e sbronze, egli rifiuta di aderire a un novello movimento per il benessere e la giustizia: la Lega dei Buoni Cittadini. I notabili vorrebbero imporgli l’iscrizione e trarlo fuori dallo scandalo che sta dando. La sua resistenza lo porta a ricevere l’ostracismo dalla sua cerchia e sull’orlo della rovina economica.

A questo punto, gli avviene di confidarsi col dottore pastore, accusandosi d’aver trascurato la chiesa e dei suoi peccati; ma quando il reverendo imbastisce l’ombra d’un rito della penitenza, ecco destarsi in lui l’impulso orgoglioso che non soffre umiliazione, dimostrando come l’amor proprio americano distrugga la sostanza cristiana.

La storia si avvia alla fine col rientro di Babbitt nei ranghi, sia a causa del disgusto per le sregolatezze e per i sotterfugi che esse comportano, sia per il freddo rifiuto della sua damina amante di tornare ad accogliere il precipitato nella desolazione, dopo che lui le diede un tacito addio credendo di potersi sciogliere dal laccio fedifrago. L’occasione per il ritorno nell’ordine è offerta dall’appendicite della moglie, ricoverata e operata d’urgenza. Allora i vecchi amici autorevoli gli tornano vicini per urbana o umanitaria solidarietà, ed egli si iscrive di buon grado alla Lega dei Buoni Cittadini.

È conseguente che un ordine siffatto abbia originato la crisi del 1929. Roosevelt dovette provvedere dando vita a un discreto Welfare State. Alla ripresa contribuì, di seguito, l’esigenza di disciplina imposta dalla Guerra Mondiale e il dover confrontarsi con sistemi maggiormente ordinati. Però la classe dirigente in regola con i principi costituzionali, ricalcitrante verso il controllo dello Stato sull’economia, nonché la massa, avevano bisogno di una più vasta ed essenziale moralità. Venne il maccartismo a porre un freno alla dissoluzione, ma non durò.

Il germe della dissoluzione risiedeva nella debolezza morale. Essa faceva sì che il vigore del Popolo Nuovo da Costa a Costa sfociasse nell’attivismo, nell’euforia dell’ascesa economica e sociale aperta a chiunque, nello stordimento d’una operosa, a volte confortevole, ubriacatura di benessere materiale e di speranza ottimistica. Ma già il proibizionismo e i suicidi del ’29 avevano rivelato la debolezza che necessitava d’essere rimediata. Così non ci furono originario richiamo puritano o saggezza biblica e filosofia pragmatica che tenessero: l’edonismo, lo sfrenamento erano alle porte. La china era segnata. Vi lavorarono la demagogia del potere e un disegno di degradazione dei popoli.

Intanto in Europa l’americanismo (non più contrastato dall’imponente retaggio della Legge di Dio, negletta dal Vaticano) si sommava ai guasti della ideologie di sinistra e liberali. La contrapposizione comunista venne travolta, e quel che ne fu dei comunisti europei non aveva di certo da opporre una forza di raddrizzamento.

Oggi Babbitt non deve più salvare la faccia, vergognarsi, cospargersi il capo di cenere; la permissività costituita gli concede di dare libera pastura alle sue insoddisfazioni; il suo intimo disordine (un tempo arginato e regolato, ma non risanato, essendo privo d’un barlume dell’antica stella polare) si è necessariamente involgarito ed espanso, senza trovare alcun genere di conversione e di riparo.

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