Che ne sarà di animali e piante quando vedremo il “Cielo nuovo e la terra nuova”?

 

“Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1, 31).

“ … dico enim vobis quia potest Deus de lapidibus istis suscitare Abrahae filios” (Lc 3, 8).

 

Alcuni anni fa lessi una notizia che, se da un lato mi stupì, dall’altro mi rallegrò perché coincideva perfettamente con una convinzione e una speranza che io ho sempre nutrito nel mio cuore, anche se alcuni (tra i quali il mio parroco) le ritengono troppo azzardate e progressiste. Ebbene: nell’Università filosofico – teologica dei Cappuccini di Munster, in Germania – nella quale dal 1963 al 1966 ha conseguito il dottorato Benedetto XVI – era stato fondato l’Istituto di Zoologia Teologica, con lo scopo di vagliare teologicamente la possibilità che Dio abbia attribuito ad alcune specie animali un ruolo preciso nel Suo piano salvifico[1]. Il loro logo derivava da un’incisione medioevale in rame raffigurante S. Girolamo in compagnia di un leone che poggia le sue zampe anteriori sullo scrittoio del Santo. “Il leone potrebbe rappresentare il mondo animale che chiede a Girolamo, Padre e Dottore della Chiesa, traduttore delle Sacre Scritture in latino, di essere ammesso alle dispute filosofiche” ha detto il fondatore e direttore dell’Istituto Rainer Hagencord.  Devo dire che questa osservazione mi è piaciuta e la condivido.

Non ho più saputo poi quale seguito abbia avuto questa iniziativa dell’Università tedesca, se essa abbia avuto successo e seguito presso gli studiosi e presso il popolo cattolico ma io – che fin da bambina ho sempre amato gli animali (e in questa mia riflessione voglio aggiungere anche le piante) senza peraltro essere “animalista” nel senso politico moderno, né vegetariana e tanto meno vegana – ho apprezzato questa novità perché mi sono spesso domandata che cosa pensasse Gesù delle creature di Dio diverse dagli uomini, come gli animali e le piante. La constatazione che mi è sempre sorta in mente come risposta è che Egli amava e ammirava il creato, opera di Suo Padre che, per primo, ne era rimasto soddisfatto riconoscendo che si trattava di “cosa molto buona” (Gen 1, 31).

Nascendo, il Figlio di Dio, che ebbe come prima culla una mangiatoia, non disdegnò di essere riscaldato dal respiro di un bue e di un asinello, animali umili, miti e fedeli collaboratori dell’uomo nel faticoso lavoro agricolo quotidiano[2]. Più tardi Gesù manifestò ammirazione per i gigli del campo che vivono e crescono senza lavorare e senza filare, riconoscendo che “neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro”(Mt 6, 26 – 29; Lc 12, 27); ammirò i liberi voli degli uccelli del cielo, anch’essi amati dal Padre, loro Creatore, che li nutre anche se neppure essi lavorano. Ancora: di un asinello ebbe bisogno Gesù al momento di entrare a Gerusalemme pochi giorni prima della Sua Passione. Nonostante fosse festeggiato   dalla folla entusiasta che lo acclamava “Figlio di Davide”, Egli ritenne di non aver bisogno di un cavallo, animale nobile più adatto ai re e ai condottieri che a Colui che aveva scelto come compagni privilegiati i poveri, gli umili e i puri di cuore.            

Tuttavia l’evangelista Marco riporta un episodio che mi disorienta un po’ perché sembra contraddire la simpatia e il rispetto che Gesù nutre per la natura. Un giorno, mentre Lui e i suoi Discepoli uscivano da Betania, Lui (vero uomo, oltre che vero Dio) ebbe fame e, visto un albero di fico, “si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie … Rivolto all’albero, disse: “Nessuno possa più mangiare i tuoi frutti!”. (Mc 11, 12 – 14). E il fico si seccò fin dalle radici. Come spiegare questo segno prodigioso di Gesù, l’unico tra quelli da Lui compiuti, caratterizzato da un esito negativo per una creatura di Dio, sia pure un albero? Non mi voglio addentrare in spiegazioni teologiche o esegetiche che non mi competono; preferisco pensare, da cattolica “bambina” quale io sono, che Gesù, affamato, sia rimasto un po’ deluso e, date le sue parole, forse anche un po’indispettito (sentimento molto umano che avremmo provato tutti noi) per non poter soddisfare la fame che lo aveva colto. Se fu così, allora sono indotta ad amare ancora di più la reale e santissima umanità del Figlio di Dio perché anche Lui, che era vero uomo, poteva aver dimenticato che non era stagione di fichi, come si preoccupa di sottolineare l’Evangelista.

A questo punto devo chiarire perché abbia apprezzato tanto l’iniziativa dell’Università di Munster. Infatti io mi sono sempre detta: se è vero che Dio è Amore e per amore ha creato l’universo e tutto ciò che esso contiene; se è vero che Egli ama incondizionatamente tutte le Sue creature e provvede paternamente ad esse; se è vero che l’armonia primordiale della natura da Lui progettata è stata incrinata dalla disobbedienza dell’uomo che, essendo il vertice della creazione, col peccato originale ha travolto e trascinato dietro di sé il creato introducendovi la morte; se è vero che Cristo, col Suo sacrificio, ha riconciliato l’umanità con Dio riaprendole le porte del Paradiso, allora sono propensa a ritenere impossibile che “l’Amor che move il sole e l’altre stelle” possa, alla fine dei tempi, accogliere presso di sé soltanto gli esseri umani, respingendo nel nulla tutte quelle altre Sue creature, animali e piante (completamente innocenti) alle quali Egli ha ritenuto “cosa buona” donare la vita ma non la consapevolezza di sé.

I teologi obiettano: gli animali e le piante non conoscono, come gli uomini, l’aspirazione all’Assoluto, quindi non possono ricambiare l’amore di Dio, né aspirare alla comunione escatologica con Lui. E’ vero, ma anche essi amano la vita e cercano di preservarla, pur senza rendersene conto[3]. E’ vero che le piante, in particolare, a differenza degli uomini e degli animali, sono prive del sistema nervoso e questo impedisce loro di provare dolore quando vengono recise o maltrattate, ma sono pronte a riprodursi e ad allignare ovunque trovino un anfratto con una briciola di terreno utile. E non è questo amore per la vita, sia pure inconsapevole? Gli animali di qualunque specie si riproducono regolarmente quando è il momento stabilito da Dio. Questa è stata la volontà del loro Creatore ed è giusto che sia così, ma chi ci dice che l’Amore supremo non abbia progettato una forma di riscatto anche per loro – caduti nei lacci della morte non per loro colpa, ma per l’arrogante superbia umana –  senza ritenere necessario rivelarlo agli uomini? L’Apocalisse (21, 1) ci dice che alla fine dei tempi vedremo “un nuovo cielo e una nuova terra”, che tutti potranno riconoscere, ma dove non esisterà più alcuna ombra di Male. Poiché il progetto dell’Onnipotente è una proposta di salvezza per tutti, a mio giudizio è impossibile che il Suo piano si realizzi consentendo l’annullamento di una parte delle Sue creature, come mi sembra che avverrebbe con la loro “perdita” escatologica, ma debba necessariamente avvenire con il rinnovamento di tutto il Creato, comprese le creature di Dio più umili, indifese e innocenti. 

Mi sembra di vedere tanti “sapienti” (tra i quali il mio amico parroco) scuotere il capo in segno di disapprovazione, ma io so che una volta Papa Paolo VI  consolò una bambina che piangeva la morte del suo cagnolino dicendole: “Un giorno lo rivedrai in Paradiso”. Personalmente ricavo un grande conforto da queste parole perché ritengo impossibile che colui che è stato appena proclamato Santo possa sbagliarsi su questo argomento. Perciò, come quella bambina, io non posso pensare di non rivedere più il mio vecchio simpaticissimo gattone soriano[4] , morto di vecchiaia pochi mesi fa il quale,  quando mi vedeva intenta a scrivere sul PC, saltava accanto alla tastiera senza disturbarmi ma facendomi le fusa che, nella sua lingua “gattese” che io comprendevo benissimo, intendeva dire: “Carla, sono contento di vivere con te e di tenerti compagnia[5]

Naturalmente non si trattava di affetto come lo intendiamo in senso umano, ma quelle fusa erano foriere di tanta compagnia e tanta allegria, tali da aiutarmi a superare i momenti di tristezza. Per questo il Signore ha creato gli animali e le piante: per aiutare il genere umano in ciò in cui essi possono essergli utili secondo la loro specie e la loro natura, per il lavoro quotidiano, per l’alimentazione e per il mantenimento di un giusto equilibrio della natura stessa, anche se purtroppo gli uomini spesso dimenticano quest’ultimo importante compito affidato loro dal Creatore: quello di avere cura del Creato. In una parola:  perché sono “cosa buona”. Come posso pensare allora che l’aiuto, la gioia e il conforto che tanti animali sono capaci di dare agli uomini si perda nel nulla?

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[1] Cfr. AVVENIRE, 21.7.2010, pag. 24.

[2] Il tenero accenno al bue e all’asinello del presepio non è riportato da Luca nel suo Vangelo, ma solo dai Vangeli apocrifi.  Tuttavia, dato che la prima culla di Gesù fu una mangiatoia, siamo autorizzati a pensare che il luogo della sua nascita fosse effettivamente una stalla e quindi possiamo credere alla effettiva presenza dei due animali in quel tipo di ricovero.

[3] Giorni fa mi sono imbattuta in un piccolo ragno che passeggiava sul pavimento del mio terrazzo. Istintivamente ho  cercato di calpestarlo, ma non ci sono riuscita perché il poveretto mi sfuggiva in tutte le direzioni, riuscendo poi a rifugiarsi in una crepa  tra il muro e il pavimento. Mi sono sentita un po’ in colpa per la mia inutile crudeltà. 

[4] Vero gatto “romano” perché, a quanto pare, nella famosa colonia felina di Largo Argentina a Roma i soriani sono i più numerosi.

[5] Sono sicura che i “gattofili” che leggeranno queste mie parole saranno d’accordo con me.

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