Comunicato dell’Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante

 

 

Quando il livello degli apprendimenti forniti da un sistema scolastico nazionale decade in modo sensibile, è opportuno guardarsi indietro e chiedersi come mai ciò sia successo. La fase dell’analisi deve precedere quella dell’intervento, altrimenti quest’ultimo rischia di non centrare il bersaglio, anzi di inoltrarsi sulla strada sbagliata perpetuando l’errore.

Di fronte a una diffusa incapacità dei nostri alunni di scrivere in modo corretto – non si dice efficace, meno che meno elegante – di risolvere problemi matematica semplici, di collocare i principali eventi storici sulla linea del tempo, o di orientarsi in modo anche elementare nel sapere geografico, è dunque opportuno procedere per confronti, assumendo come termine di paragone una fase storica in cui la situazione era diversa ma, allo stesso tempo, sufficientemente omogenea rispetto all’ attuale. Non, per intenderci, la scuola “classista” (come oggi si sente dire, e ci esentiamo qui dall’entrare nel merito) modulata dalla triade Casati – Coppino – Gentile, la quale, in tutti i sensi troppo lontana dalla nostra, minerebbe alla base  la possibilità di un raffronto.

Andiamo dunque indietro nel tempo, ma non troppo, fermandoci alla nascita della Scuola Media Unificata (1963) la quale, qua e là ritoccata, è ancor oggi vigente. Diciamo che prendiamo di mira gli anni ’63 – ’70, quando si usciva dalle elementari ben altrimenti ferrati,  e la scuola media, quantunque unificata, non danneggiava più di tanto il prodotto.

Ci imbattiamo così  in una mitica figura: la “signora maestra”. C’era di certo, in quegli anni, anche  il “signor maestro”, assai più rappresentato, numericamente, di quanto non sia oggi. Ma per ragioni di comodità e anche un po’ di galanteria ci riferiremo, in questa righe, alla prima.

Quello che ci interessa comprendere è come e perché una tale figura che aveva alle spalle solo quattro anni di studi medio-superiori frequentati presso il defunto Istituto Magistrale, e che operava in classe, sostanzialmente, in splendida quanto ardua solitudine, sia riuscita a fare ciò che non riesce oggi a interi team di docenti laureati, dotati oltretutto di strumentazioni didattiche elettroniche che la Nostra neppure poteva sognarsi. Come cioè sia riuscita  a edificare le basi di una cultura nazionale mediamente solida, consistente in capacità linguistiche e matematiche di tutto rispetto, e conoscenze storiche e geografiche altrettanto ragguardevoli.

Diciamo subito che metteremo da parte le motivazioni di natura sociologica. Non tanto perché siano false, ma perché non sono utili ad affrontare il tema. Quand’anche  puntassimo il dito sulla conclamata crisi della famiglia, infatti, la nostra riflessione non ne trarrebbe vantaggio. E neppure se sottolineassimo le difficoltà determinate dalla presenza in aula di alunni di diversa origine culturale e linguistica, questione (sulla quale AESPI ha recentemente proposto classi ad hoc con aumentato monte ore linguistico) che attualmente si affronta con i classici pannicelli caldi, nonché cautelosi e politicamente corretti.

Neppure la nota argomentazione che pone l’accento sull’accresciuta complessità del sapere, e con ciò giustifica la presenza di un corpo insegnante numericamente più cospicuo e dotato di istruzione accademica, sembra  convincente. Il sapere non è mai stato semplice, e inoltre le basi di una cultura (perché è delle basi che stiamo parlando) non si costituiscono studiando la meccatronica o la chimica-fisica, e neppure la psicocritica letteraria.

Dunque cerchiamo di rimanere, per così dire, dentro il sistema, e di capire perché quello degli anni cinquanta-sessanta, in apparenza così povero, funzionava, e il nostro no.

Sicuramente la signora maestra, quando era a scuola, faceva soprattutto lezione. Le sue incombenze burocratiche erano limitate, e poteva così utilizzare tutte le sue risorse mentali e nervose per quello che rimane l’essenza dell’istituzione, cioè la oggi vituperata lezione frontale. Non doveva preoccuparsi di “certificare” ciò che i suoi alunni sapessero o non sapessero, limitandosi a valutare numericamente le loro interrogazioni e i loro elaborati.

Sicuramente la signora maestra godeva in classe di un rispetto che prescindeva dal grado di “autorevolezza” personalmente posseduto. Anche se magari noiosetta nelle spiegazioni e petulante nei fervorini, la si ascoltava limitandosi a sbuffare un po’ di nascosto. Poteva non essere autorevole, ma aveva comunque l’autorità: quella del suo ruolo. Se uno studente le avesse tirato addosso una sedia, se una mamma le avesse sputato in faccia, sarebbero stati presi illico et immediate provvedimenti tali da convincere l’uno e l’altra di non osare mai più tanto, e da lasciare loro un ricordo indelebile nonché istruttivo circa le conseguenze che le proprie azioni possono avere a questo mondo.

La signora maestra aveva un programma di studi al quale si doveva attenere, e che garantiva l’unità culturale della Nazione, cioè il fatto che le generazioni potessero parlare capendosi. Questo programma veniva svolto impartendo prima di tutto delle nozioni, le quali avevano come conseguenza, e non come premessa, il saper eseguire dei compiti (scrivere un buon tema, risolvere il problema, rispondere correttamente al questionario). Non esistevano test a risposte chiuse, di fronte ai quali la nostra insegnante si sarebbe chiesta quale vento di follia stesse spirando. Le risposte alle domande dovevano essere discorsive, in modo da non smarrire per strada le capacità espositive. Le “competenze” si maturavano sulla base delle nozioni impartite e apprese e delle esercitazioni assegnate dall’insegnante, non venivano programmate predisponendo “scenari” e proponendo “problem solving”.

La signora maestra non godeva neanche nei fifties di un lauto stipendio, ma di una decorosa considerazione sociale, sì. Nessun uomo politico si sarebbe sognato di dichiarare che nei mesi estivi avrebbe dovuto rimanere a disposizione a scuola per fare da badante ai ragazzini e sollevare così da tale incombenza genitori e nonni.

Ecco: con questi strumenti semplici e di buon senso, con questa dignitosa povertà di mezzi, con l’autorità conferitale dal riconoscimento sociale del suo lavoro, la signora maestra, in quell’Italia che risentiva ancora dei postumi della guerra, andava facendo gli italiani.

Il tempo passa, e le epoche e le fasi storiche, si sa, non si recuperano come un vecchio abito dimenticato nel fondo di un armadio. Non sarebbe neppure giusto cercare di farlo. Ma è lecito chiedersi se quella semplice maestra non laureata, quella  signora maestra, possa ancora indicarci una strada – non esattamente la sua, ma analoga almeno nei principi generali e fondanti – per uscire dalla palude in cui ci siamo intrappolati.

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Alfonso Indelicato – Responsabile della Comunicazione A.E.S.P.I.

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5 commenti su “Elogio della Signora Maestra”

  1. prof. Quatermass

    Cara Signora Evelina, ho ricordi come i suoi, con la Signora Maestra fino alla terza elementare, e poi in quarta e quinta il Signor Maestro. Che disciplina, che impegno. E non ci saremmo mai sognati di mancare di rispetto. Eppure eravamo bambini tranquilli, sereni e siamo credo gli ultimi rappresentanti di una generazione che ha affrontato la vita senza avere bisogno di sballi, droghe e roba del genere. Ma vorrei aggiungere una cosa: se io mi fossi lamentato del maestro o della maestra, mio padre mi avrebbe subito zittito e mi avrebbe fatto notare che avevo solo da imparare. Ecco, erano tempi in cui c’era anche l’educazione in famiglia, che andava d’accordo con l’educazione a scuola. Il mondo, come lei dice giustamente, non era ancora ammattito ed ognuno aveva il suo ruolo preciso.

  2. Pensando a quella figura che ho impressa nel cuore e nella mente, non posso dire altro se non “la mia cara “Signora Maestra”. Sì, cara, perché di lei, nata a fine ottocento e nei modi davvero ottocentesca, conservo un delicato indelebile ricordo. Autorevole, severa e dolce allo stesso tempo, composta nella presenza e con un sapere e una competenza che di fronte alla preparazione di certe maestrucole che si aggirano nelle disastrate scuole di oggi, sono monumenti di umanità e di professionalità. È stata lei l’autrice della mia formazione scolastica di base e da lei ho soprattutto imparato gli elementi essenziali della lingua italiana in modo così preciso, che in seguito non ho avuto bisogno che di aggiungervi i relativi approfondimenti; ho appreso col continuo esercizio e con i suoi suggerimenti come si fa ad esprimersi scrivendo in modo agevole e appropriato e di questo le sono stata e saròsempre grata. Sì, sul serio ci rivolgevamo a lei chiamandola ‘signora maestra’: era una forma di educazione e di rispetto, naturale a quei tempi perché a quei tempi il mondo non era ancora ammattito (forse cominciava ad esserlo, ma si vedeva poco) come lo è adesso e i ruoli si rispettavano . Insomma, allora la maestra era come qualcosa di sacro e tanto più lo erano le sue parole, così che veniva naturale, all’occasione, sostenere la giustezza di certe tesi perché, si diceva:”lo ha detto la maestra”.
    Tempi remotissimi, forse preistorici, eppure tempi di grazia, anche spirituale, perché no, se ricordo i begli insegnamenti religiosi che lei ci impartiva e le belle poesie che ci faceva imparare per Natale: “…Consolati, Maria del tuo pellegrinare! Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei…” Questa bellezza ci veniva insegnata perché era la bellezza del nostro vivere e delle nostre radici, senza che nessuno si scandalizzasse o impedisse di farlo, per un falso e ipocrita rispetto,. Le nostre gloriose radici, proprio quelle che oggi i potenti del mondo, con la loro diabolica prepotenza, ci hanno.obbligato a recidere.

    1. Alfonso Indelicato

      Grazie di tutto il commento e della bellissima poesia riposta nel gozzaniano solaio della mia mente.

  3. Ho fatto le elementari da bambino proprio dal 1963 al 1968 e mi riconosco pienamente nella descrizione fatta della “signora Maestra”…..soltanto che io avevo un “Signor Maestro” per tutti e 5 gli anni che era appunto un artista nel suo lavoro. Severo al punto giusto, ma anche affettuoso con gli alunni. Nessuno si sarebbe mai sognato di mancargli di rispetto. Seguendo il suo esempio, diventai anch’io maestro elementare con le vecchie Magistrali, ma mi trovai a lavorare, dal 1983, in una scuola già cambiata in peggio. Causa del peggioramento furono i decreti delegati degli anni ’70, la politicizzazione della scuola con l’introduzione delle elezioni scolastiche e degli organi collegiali che hanno aggiunto altri compiti ai docenti. Poi sono nati il tempo pieno, i moduli e gli insegnanti di ogni classe sono diventati prima due, poi tre, poi quattro ed anche cinque. Sono stati inseriti gli alunni handicappati che prima andavano nelle scuole speciali e i disadattati che prima andavano nelle scuole differenziali. Tutto ha contribuito a rovinare la scuola elementare del rimpianto maestro unico. Io ho smesso di fare il maestro nel 2001 poiché sono passato alle superiori, ma vedo che oggi succede di tutto: maestre d’asilo esasperate che maltrattano i bambini,
    genitori che picchiano i maestri, alunni che si ribellano, eccetera.
    Com’era bella la scuola elementare del maestro Perboni nel libro Cuore!!!

    1. Alfonso Indelicato

      Abbiamo fatto un percorso simile. Io ho avuto la signora maestra in prima e in seconda e il signor maestro nelle ultime tre classi. Li ricordo entrambi con affetto e stima.Ho insegnato a lungo nei corsi integrativi delle magistrali. Insomma ho visto abbastanza da vicino il passaggio da un certo tipo di scuola a questa presente. Non aggiungo nienete a quello che ha osservalto Lei. Saluti da camerata a camerata

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