Eluana Englaro condannata a morte. Nè legge, nè pietà

Dieci anni fa. Non dimentichiamo

 

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Alle 20.24 del 9 febbraio 2009, il dottor Amato del Monte, primario di rianimazione della clinica “La Quiete” di Udine, telefona a Beppino Englaro per comunicargli che alle 20.10 sua figlia Eluana è spirata.

Tre giorni prima, il 6 febbraio, i medici avevano sospeso l’alimentazione e l’idratazione artificiali che la tenevano in vita. Quindi Eluana non è morta naturalmente, ma è stata uccisa in uno dei modi più atroci e disumani: di fame e di sete.

I volontari che si sono prestati ad assolvere questa missione omicida avevano pianificato ogni dettaglio del progetto, costituendo preventivamente un’associazione, denominata “per Eluana”, della quale facevano parte lo stesso Amato De Monte e diversi medici e personale infermieristico, al fine di coordinare le varie fasi del protocollo di morte: dall’irruzione a notte fonda all’Ospedale di Lecco per strappare la ragazza alle amorevoli cure delle suore misericordine, al trasferimento in ambulanza nella clinica di Udine fino all’esecuzione della sentenza finale.

E’ fondamentale ricordare che alimentazione e idratazione artificiali non sono strumenti di accanimento terapeutico, ma il semplice nutrimento che viene somministrato ad una persona disabile per tenerla in vita. La convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (2 marzo 2007) cita all’art. 25 comma f: “Gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del più alto standard conseguibile di salute, senza discriminazioni sulla base della disabilità. […] In particolare, gli Stati Parti dovranno: prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di cure e servizi sanitari o di cibo.”

Alice Ricciardi Von Platen, membro della commissione medica di osservatori del tribunale militare americano al processo di Norimberga contro i crimini nazisti, faceva giustamente osservare che: «La dimensione raggiunta dall’eutanasia negli istituti tedeschi dimostra come, una volta intrapresa la strada dell’annientamento delle cosiddette vite indegne, non ci siano più limiti: sostenuti da considerazioni di carattere ideologico e materiale si annienta la vita anormale sino al punto in cui non si è annientata la vita stessa». È certo che una sola uccisione ne provocherà altre centinaia se non si rinnega fino in fondo l’ideologia che l’ha generata.

Ma per comprendere come si sia giunti a tali livelli di disumanità, è utile ripercorrere la vicenda umana di Eluana.

Eluana Englaro nasce a Lecco, in Lombardia, il 25 novembre 1970. Il 18 gennaio 1992, studentessa alla facoltà di lingue di Milano, di ritorno da una festa in un paese vicino, perde il controllo dell’auto e subisce un incidente molto grave. Viene curata, giudicata clinicamente guarita, pur rimanendo una disabile grave, come efficacemente sintetizzato da Gianluigi Gigli, ordinario di neurologia all’università di Udine: «Eluana non è in coma, è in stato vegetativo […]. La differenza è fondamentale: non vive a letto, dorme e si sveglia, non è attaccata a un respiratore, muove gli occhi. Non può alimentarsi autonomamente, ma sta bene e non assume farmaci».

Viene quindi trasferita nella Casa di Cura “Beato Luigi Talamoni” di Lecco e affidata per 17 anni alla cure delle suore, che si affezioneranno a lei al punto da considerarla come una figlia. Non era quindi una malata terminale, né affetta da dolori particolari, né rappresentava un onere per la sua famiglia e, se non fosse stata uccisa, avrebbe potuto vivere a lungo.

A distanza di 7 anni dall’incidente, il padre della ragazza, Beppino Englaro, fatta richiesta di diventare il suo tutore, inizia un’agguerrita battaglia legale, spalleggiato dal Partito Radicale per ottenere l’interruzione della somministrazione di acqua e cibo e mettere così fine alla vita della propria figlia. Questo estenuante e ideologico iter giudiziario termina il 9 luglio 2008 quando la Corte d’Appello Civile di Milano concede l’autorizzazione ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione, che mantiene in vita Eluana, sulla base della presunta volontà dell’interessata. Ed è qui che ci sono molte ombre su come tale volontà sia stata ricostruita dal padre e dai giudici.

Troppe le testimonianze discordi da quelle raccolte dalla Corte di Appello di Milano: diverse amiche, due insegnanti e persino una lettera – mai messa agli atti – che contraddice quanto invece dedotto dai giudici. Ma questi fatti, resi pubblici sul quotidiano Avvenire e raccolti in un esposto presentato alla Procura di Milano, vengono incredibilmente ignorati.

Nel caso di Eluana alcuni benpensanti, nell’appoggiare la scelta di Beppino Englaro, sostenevano che nessuno possa sapere più di un genitore che cosa è bene per suo figlio. Sarebbe interessante appurare per quale ragione se la richiesta è di staccare la spina o di togliere un sondino, il genitore valga più del medico, ma se, al contrario, è quella di mantenere la spina attaccata o il sondino posizionato, il rapporto si capovolge e il genitore vale meno del medico. Questa è una logica davvero perversa. E’ ideologia.

Eluana, in realtà, nonostante fosse in stato “vegetativo” o più precisamente di “minima coscienza”, era pienamente “vitale”, nel senso che i suoi processi biologici funzionavano alla perfezione e le era persino tornato un regolare ciclo mestruale.

Tale è stato l’accanimento del padre nel por termine all’esistenza della figlia, che ha sempre impedito che venissero mostrate foto non solo di Eluana, ma neppure della stanza dov’era ricoverata, documentazione che avrebbe confutato inequivocabilmente le menzogne che circolavano su certa stampa progressista e che verranno smentite solo dopo la relazione dell’autopsia sul corpo della giovane.

Allo stesso modo si è rifiutato categoricamente di sottoporre la figlia alle terapie più all’avanguardia nel trattamento dei pazienti in stato vegetativo, nonostante gli venissero raccomandate dai medici.

Il senatore Gaetano Quagliarello il 3 marzo 2017 così commentava sull’Occidentale: “Eluana non è morta, Eluana è stata ammazzata“… “Perché da ex radicale, dato biografico che certamente non rinnego, credo profondamente nella libertà della persona e chiamo le cose con il loro nome. E, se si mette da parte l’ipocrisia, la storia della morte di Eluana Englaro non è certamente una storia di libertà”.

L’ostinazione con cui è stata condotta questa vicenda, l’insistenza con cui si è cercato di far morire Eluana in una struttura pubblica va ben oltre la battaglia personale di suo padre (che poteva benissimo portare la figlia a casa per attuare il suo piano). Questa estenuante campagna mediatica e giudiziaria è stata un’azione ideologica volta a sdoganare nel nostro paese una mentalità e soprattutto una legislazione eutanasica, aggirando il consenso popolare e con la complicità di giudici, che non dovrebbero legiferare, ma limitarsi a garantire il rispetto delle leggi.

Si è arrivati in questo modo al dicembre del 2017, anno in cui è stata varata la legge sul fine-vita: numero 219 sulle Disposizioni Anticipate di trattamento (DAT), che ha un contenuto sostanzialmente eutanasico, stravolge, modifica, minaccia la professione medica e lede alla base il rapporto di fiducia tra medico e paziente. Crea inoltre le premesse per l’introduzione di un’eutanasia non consensuale, dove gli handicappati, gli anziani ammalati, le persone in stato di incoscienza, i neonati prematuri a rischio di disabilità sono considerati un peso per la famiglia e la società e sono quindi meritevoli di soppressione. Nel best interest di tutti. Le storie di Charlie Gard, Isaiah Haastrup, Alfie Evans sono solo alcuni tragici esempi di questa deriva ideologica.

Eluana Englaro è stata dunque condannata a morte “legalmente” con l’autorizzazione dei giudici, in quanto, secondo i sostenitori dell’eutanasia, in seguito agli irreversibili danni fisici subiti nell’incidente stradale, rispecchiava appieno la condizione di vita indegna di essere vissuta; si è voluto affermare un principio contrario alla nostra civiltà e al bene comune: l’esistenza di vite non meritevoli di essere vissute. Una prospettiva questa evidentemente ideologica e pericolosa se pensiamo che in passato era legale la schiavitù o la deportazione degli ebrei, rendendo evidente che non sempre legalità è sinonimo di giustizia, come ciò che è legale non sempre è anche moralmente etico. Il grande bioeticista Mario Palmaro ci metteva in guardia sottolineando l’ambiguità e la falsità di una concezione basata sulla qualità della vita, che avrebbe potuto in futuro ridurre, se non addirittura eliminare, il dovere di curare un malato incosciente, «per cui non solo le persone in stato vegetativo, ma anche pazienti in coma, con danni cerebrali gravi, malati di mente, neonati, potranno essere assimilati al caso di Eluana, e “lasciati morire”».

Eluana Englaro in Italia, così come, in precedenza, Terri Schiavo negli Stati Uniti e oggi Vincent Lambert in Francia vengono utilizzati, loro malgrado, come simboli, vittime sacrificali di un’ideologia di morte e a favore della legalizzazione dell’eutanasia, bandiere ideologiche da contrapporre a chi si batte per la Vita.

Come ultima beffa, la Regione Lombardia è stata costretta dalla Corte d’Appello di Milano a risarcire Beppino Englaro con l’enorme somma di 164mila e 453 euro per aver impedito in tutto il territorio lombardo il distacco del sondino, che alimentava e idratava la figlia, ovvero per non aver accettato di ammazzarla. In questa triste vicenda, è stato il prezzo che siamo stati costretti a pagare per restare umani.

In tale scenario desolante, in un’Europa dominata dalla cultura della morte, diventa fondamentale rievocare le parole di Papa Benedetto XVI:

L’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo; la vera risposta non può essere infatti dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano. Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio.

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Per non dimenticare Eluana Englaro e non vanificare la sua morte

L’associazione “Ora et Labora in difesa della Vita” organizza un Rosario di testimonianza per la Vita il prossimo 9 febbraio 2019. L’appuntamento è alle 15:45 davanti alla basilica di San Nicolò in Via San Nicolò 1 a Lecco.

Omaggio a Eluana: https://www.youtube.com/watch?v=SPRNLmpjI0w&t=33s

Rosario per la Vita: https://www.youtube.com/watch?v=O1aGESvpRPY&t=78s

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3 commenti su “Eluana Englaro condannata a morte. Nè legge, nè pietà”

  1. Antonella d.sa Vian

    La Verità è che Non hanno Rispettato la Volontà di Eluana che sapeva Reagire e l ha fatto per argomenti molto importanti non solo nei confronti del suo ragazzo ma quando si parlava della Sua Vita quindi la sentenza di morte parlava chuare” Se reagiva tutto si doveva fermare” e invece anche suo padre e altri hanno fatto finta di niente.
    Altro che “Giornata della Memoria”
    Giornata x la Verità

  2. Carla D'Agostino Ungaretti

    E poi temono tanto che si ritorni alla Shoà, al genocidio dei “diversi”, alla discriminazione secondo il colore della pelle, alla selezione razziale!
    Ma non ci siamo già tornati?

I commenti sono chiusi.

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