Foibe, “Red Land” e storia cancellata

Il “Giorno del ricordo” non basta

Boicottato il film Red Land (Rosso Istria)

.

Red Land (Rosso Istria)”, il film del regista argentino Hernando Bruno dedicato al ricordo di Norma Cossetto, una delle migliaia di italiani sterminati e gettati nelle foibe dai comunisti slavi al termine e all’indomani della seconda guerra mondiale, è stato palesemente boicottato ed eliminato dalle sale in fretta e furia. In relazione a questo ennesimo caso vergognoso per l’Italia, “Il Nuovo Arengario” pubblica questa nota dello scrittore e storico Luciano Garibaldi, nostro collaboratore, autore, assieme a Rossana Mondoni, di tre libri dedicati al calvario degli italiani triestini, istriani e dalmati, pubblicati dalle Edizioni Solfanelli: «Nel nome di Norma», «Venti di bufera sul confine orientale» e «Foibe: un conto aperto». Presto il lavoro di Rossana Mondoni e Luciano Garibaldi rivedrà la luce in una nuova e aggiornata edizione, sempre ad opera delle Edizioni Solfanelli.

PD

.

.

No, non c’è da stupirsi per il boicottaggio subìto dal film “Red Land” (Rosso Istria), che ricostruisce, con passione e rigorosa fedeltà alla storia, il calvario non soltanto della giovanissima Norma Cossetto, ma delle migliaia di italiani colpevoli solo di essere tali: cioè italiani. Purtroppo continuiamo a vivere in una Italia piena di reticenze e di assurdi pudori. Un esempio eloquente viene dalla stele dedicata proprio a Norma Cossetto a Trieste. Nell’iscrizione si legge, testualmente: «A Norma cui l’amore patrio spinse a far dono della vita per l’italianità della sua Istria. Trucidata la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943». A parte la grammatica, «trucidata» e basta? Trucidata da chi? Perché non si è sentita l’elementare, doverosa correttezza storica di scrivere «trucidata dai partigiani comunisti con l’avvallo dei liberatori appartenenti al lX Korpus sloveno del maresciallo Tito»? E’ proprio ciò che tutti noi, storici o storiografi, abbiamo il dovere di divulgare. Ovvero, la complicità del Partito Comunista Italiano nei crimini compiuti nelle province orientali italiane a partire dal fatale 8 settembre 1943 e fino al sanguinoso e selvaggio dopoguerra.

In proposito esiste un documento inoppugnabile: le istruzioni scritte consegnate da Palmiro Togliatti il 19 ottobre 1944 al suo rappresentante presso Tito, Vincenzo Bianco. Vi si poteva leggere tra l’altro quanto segue «Noi consideriamo come un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci, e che in tutti i modi dobbiamo favorire, l’occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito. Ciò significa che in questa regione non vi sarà né un’occupazione inglese, né una restaurazione dell’amministrazione reazionaria italiana (così Togliatti definiva il governo Bonomi, di cui pure faceva parte), ma una situazione profondamente diversa da quella che esiste nella parte libera dell’Italia». E così proseguiva: «Questo vuol dire che i comunisti devono prendere posizione contro tutti quegli elementi italiani che agiscono in favore del nazionalismo italiano». Il documento fu scoperto nel ’92 dallo storico Franco Andreucci nel dossier Bianchi, custodito negli archivi di Mosca assieme alle famigerate direttive di Togliatti in merito alla sorte da riservare ai militari italiani dell’ARMIR prigionieri in Russia (non dimentichiamo la frase «Più ne moriranno e meglio sarà per la nostra causa»).

Come a suo tempo ricostruirono tre valentissimi custodi della nostra memoria storica, Marino Micich, Augusto Sinagra e Amleto Ballarini nel libro «La rivoluzione mancata», subito dopo quelle disposizioni togliattiane, Eduard Kardelj, il braccio destro di Tito, in piena sintonia con Togliatti, inviava la seguente comunicazione allo stesso Vincenzo Bianco: «Bisogna fare un repulisti di tutti gli elementi imperialisti e fascisti che si possono nascondere nelle unità partigiane». Frase allucinante e pazzesca: bastava non sentirsi comunisti per venire bollati come fascisti!

Ecco da dove ebbero origine le efferate stragi di partigiani monarchici compiute in Veneto dai partigiani comunisti, a cominciare da quella di Porzus immortalata nell’ omonimo e boicottatissimo film di Renzo Martinelli. Ed ecco anche perché, «a guerra finita – come scrissero Micich, Sinagra e Ballarini nel loro libro – i fascisti e i nazisti che finirono nelle foibe istriane furono una minoranza. Subirono quella sorte cattolici contrari all’ateismo comunista, democratici che non intendevano tradire la propria italianità, piccoli possidenti che non volevano farsi spogliare dei loro beni senza fiatare, operai che credevano di poter scegliere con il voto il proprio destino». Oggi sappiamo che non erano solo elementi jugoslavi (sloveni o croati) i promotori di quell’orgia di sangue. E sappiamo che, a volte, gli italiani comunisti superarono i maestri slavi.

Ricordo un nome: Nerino Gobbo, un triestino che, dopo avere gettato decine di italiani nella foiba di Basovizza, divenne il presidente dell’Unione degli italiani «rimasti» in Istria e a Fiume, nonché deputato al Parlamento di Lubiana. Non scontò mai alcuna pena. I crimini da lui commessi, grazie all’amnistia Togliatti, furono cancellati. Stesso trattamento di favore a tutti gli altri assassini smascherati negli anni e nei decenni seguenti. Nessuno ha pagato per quel genocidio, non certo inferiore a quello compiuto in Polonia e commemorato dolorosamente nel film «Katyn» di Andrej Wayda.

Oggi uno spiraglio sembrava si fosse aperto. Un giovane e coraggioso regista, Maximiliano Hernando Bruno, ha realizzato il film «Red Land» dedicato a Norma, l’eroina dell’italianità, e allo sterminio dei nostri fratelli delle terre orientali. Tutti noi che ci auguravamo che questa pellicola avesse la risonanza doverosa,  come quella  toccata all’indimenticabile “Schindler’s List”, dedicato allo sterminio degli ebrei, siamo stati ben presto delusi. Pochissimi organi d’informazione ne hanno parlato, e i gestori delle sale cinematografiche hanno facilmente ceduto alle pressioni ricevute per toglierlo dalle programmazioni.

Eppure questo film è l’unico che possa far comprendere in tutti i suoi risvolti, agli italiani, la tragedia del confine orientale perché finora, a proposito di foibe, si ricorda solo “Il cuore nel pozzo”,  del regista Alberto Negrin, nel quale peraltro non viene mai pronunciato l’aggettivo “comunista”. L’Italia ha ritenuto di uscire dall’equivoco e dalla colpa istituendo il Giorno del Ricordo. Ma forse sarebbe stato meglio portare a termine i processi postumi che furono avviati contro gli infoibatori e gli altri assassini, da Oskar Piskulic in poi. E invece sono stati tutti arenati, dopo che fu tolta al magistrato Giuseppe Pititto l’indagine scottante.

Per non parlare delle pensioni che vengono ancora versate dallo Stato italiano agli infoibatori superstiti, grazie al vergognoso trattato di Osimo del 1975. Viceversa, le famiglie degli infoibati e dei profughi aspettano ancora giustizia e non hanno ricevuto alcun risarcimento. Nel frattempo, l’Italia ha spalancato le porte dell’Europa ai governi di Lubiana e di Zagabria. E’ per questo che ci permettiamo di dire che il “Giorno del Ricordo”, che si celebra ogni anno il 10 febbraio,  non basta. Ma occorre che Slovenia e Croazia si siedano attorno ad un tavolo per trattare il risarcimento dei beni sottratti a chi ne aveva diritto e a chi ancora oggi, in quanto erede delle vittime, ne ha pienamente diritto. Questo si deve pretendere dal governo italiano. Di qualunque colore esso sia.

 

[amazon_link asins=’8875574251,8849831005,8881555921′ template=’ProductCarousel’ store=’backtothene0c-21′ marketplace=’IT’ link_id=’ec7adba9-cab8-43f6-9f73-4da98f6eed9e’]

Condividi questo articolo:

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Print

Lascia un commento:

Iscriviti alla nostra newsletter

Ogni settimana riceverai i nostri aggiornamenti e nulla di più.

Torna in alto