I Sacramenti al tempo del coronavirus

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“Non pensavamo che fosse così necessario celebrare insieme i santi misteri”. Con questa frase, che sottolinea la contraddizione di questo tempo afflitto dal coronavirus, l’arcivescovo di Milano annunciava i riti della Settimana Santa in cui ha celebrato in Duomo “senza concorso di popolo” ma da solo, presenti, a turno, due rappresentanti della Caritas, del mondo ospedaliero, della “Chiesa delle genti” e delle forze dell’Ordine. Il presidente della CEI Bassetti aveva già espresso la posizione generale della Chiesa a proposito di limitazioni in una recente intervista al “Corriere”, ricordando che “l’anima è sì immortale, ma abita un corpo fragile”. In questo la Chiesa esprime quell’attenzione premurosa e materna per i suoi figli, soprattutto i più deboli e “a rischio” che, in questo momento, siamo tutti noi.

Ma nonostante queste parole, un’obiezione resta. Molti cattolici rimangono stupiti che si possa andare a fare la spesa al supermercato e non si possa, con le stesse cautele, entrare in una chiesa per pregare e per la Messa, soprattutto per Pasqua. Entrare nelle chiese è possibile, sempre che le forze dell’ordine non ti fermino prima. Esiste nei decreti di Conte questa possibilità? Per la Messa ci si chiede in molti perché non potervi partecipare a turni, magari distribuiti durante la settimana, a piccoli gruppi, distanziati a zig zag nelle panche. Un amico mi scrive una proposta interessante: ritirare la particola non consacrata all’ingresso, avvolta in una pellicola, e poi, dopo la consacrazione, alla Comunione ciascuno riceve Gesù nel sacramento.

Nuove abitudini liturgiche da inventare? In materia di fede, all’epoca del coronavirus, è proprio questo il punto. Esattamente come chiediamo al Governo di pensare all’economia del dopo-virus, così possiamo-dobbiamo chiedere alla Chiesa che ne sarà dei Sacramenti della nostra fede? C’è un’economia umana da salvare, ma c’è anche un’Economia divina con la E maiuscola, un’Economia di salvezza da custodire, preservare, trasmettere. Questa Economia la Chiesa l’ha sempre custodita nei secoli e nei momenti più bui.

L’arcivescovo di Milano Mario Delpini, sempre in preparazione al triduo pasquale, ha parlato di ritorno “a una celebrazione che assomiglia di più alla prima Pasqua che a quelle solenni” cui ci eravamo abituati. Una Chiesa del silenzio dunque, costretti non da un regime ma da un virus?

Anche qui, in questa altalena di domande senza facili risposte, vorrei tornare a pensare a come la nostra fede sarà sostenuta nelle prossime settimane o mesi. Sarà una fede che dovrà convivere con il virus, come tutte le altre attività umane. Se e come riceveremo i sacramenti? “Confessarsi almeno una volta all’anno” e “fare la Comunione almeno a Pasqua” sono due dei cinque precetti della Chiesa cattolica. Penso innanzitutto alla Confessione. È il sacramento più bello, quello di cui abbiamo più bisogno. Ci fa ricordare che siamo sempre e comunque peccatori. Ma poi subito ci rialza e ci fa creature nuove. Come fare? Ci penso da quando è iniziata questa storia del virus. I confessionali sono la culla di ogni contagio. Confessarsi tra una panca e l’altra magari con gli auricolari per non farsi sentire dagli altri?

E i matrimoni? Rigorosamente a porte chiuse. Così i battesimi. E i sacramenti dell’iniziazione cristiana come si amministreranno ai bambini? Come si svolgerà la preparazione e il catechismo? Davanti a un computer? E i novelli sacerdoti quest’anno a giugno potranno ancora sdraiarsi fianco a fianco sul freddo marmo del Duomo di Milano davanti all’arcivescovo per ricevere l’Ordine sacro? L’ultimo sacramento poi ci fa pensare a tutti quei morti che se ne sono andati via, chiusi nei camion, dopo che i sacerdoti hanno dato loro, forse, l’Estrema Unzione. Ma senza il conforto dei loro cari, l’accompagnamento di quella Chiesa militante che cammina quaggiù verso la Chiesa trionfante.

Oggi noi, Chiesa militante, popolo di Dio in cammino ai tempi di questo virus, chiediamo alla Chiesa che è madre che ci aiuti, ci stia vicino, non si faccia solo portavoce delle ragioni di Stato ma ci tenga desti, in stato di grazia, ci spinga al coraggio della fede, ci conceda come lo ritiene opportuno i Sacramenti, perché senza di essi non possiamo più vivere.    

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