Il “Seder” ebraico e l’Ultima Cena di Gesù

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Magister dicit: Tempus meum prope est; apud te facio Pascha cum discipulis meis”. (Mt 26, 18).

“Magister dicit: Ubi est refectio mea, ubi Pascha cum discipulis meis manducem?” (Mc 14, 14).

“Dicit tibi Magister: Ubi est deversorium ubi Pascha cum discipulis meis manducem?” (Lc 22, 11).

Ante diem autem festum Paschae … Iesus … cum dilexisset suos, qui erant in mundo, in finem dilexit eos”. (Gv 13, 1).

Ci stiamo avvicinando a grandi passi alla Celebrazione dell’evento centrale della Fede cristiana: la Resurrezione di Cristo. Ma il tragico e inaspettato momento storico che stiamo vivendo – al quale il presuntuoso mondo moderno,troppo sicuro di sé, non era certo preparato – rischia di far passare in secondo piano, nei nostri pensieri e nei nostri cuori, questo cardine della Rivelazione che ci è stata fatta. Sono sicura che Dio – che è nostro Padre ed è anche molto più amorevole e comprensivo di tutti i padri terreni – non si offenderà per questo. Dio vede bene il dolore che stiamo provando nel sapere che tanti nostri sventurati fratelli, colpiti dal Covid 19,  muoiono in totale solitudine nei reparti ospedalieri di terapia intensiva senza poter ricevere il conforto  dei loro familiari e, tanto meno, quello (molto più importante) dei Sacramenti. Perciò io, ultima tra le pecorelle di Cristo, prego ogni giorno la Sua Santa Madre perché sia loro vicina e li conforti nel momento supremo.

Tuttavia, non mi sento esonerata dal meditare sui giorni che ci aspettano e soprattutto sul significato di quella che per noi cristiani è l’Ultima Cena di Gesù, durante la quale Egli istituì il Sacramento dell’Eucaristia, e lo farò con l’aiuto di una mia “sorella maggiore”, una carissima amica ebrea, donna coltissima e di grande fede che, spiegandomi il significato del Séder di Pesach ebraico, mi ha fatto comprendere meglio anche la differenza con l’Ultima Cena di Cristo.

Quest’anno 2020 la “Pesach”, vale a dire la Pasqua ebraica, va da mercoledì 8 aprile a  giovedì 16 aprile e la celebrazione della cena pasquale, in ebraico “Séder”, ossia “ordine”, successione di vari atti simbolici, è un precetto essenziale per gli ebrei di ogni tempo da consumarsi il giorno 14 del mese di Nissan del calendario lunare ebraico,  mangiando un agnello, o un capretto, con pane azzimo ed erbe amare (Es 12, 1 –  20) . Alla vigilia del “passaggio del mare” (Pesach), Dio aveva ordinato agli Israeliti di spruzzare sulle porte delle loro case il sangue del capretto scannato, così Egli sarebbe “passato oltre” risparmiando i loro primogeniti dalla calamità che Egli stesso aveva inflitto a ogni primogenito d’Egitto. “E’ la Pasqua del Signore!”, un rito da ripetersi in memoria del passaggio dalla schiavitù alla libertà per opera di Dio e per riaffermare la propria appartenenza al popolo liberato dal Signore e alla Sua Alleanza. Tra i vari “atti simbolici” da ripetersi c’era anche quello della “Haggadah”, ossia della “narrazione” che i padri dovevano fare ai loro figli per spiegare il significato del rito.

Anche Gesù, in quanto ebreo, partecipò insieme ai Suoi genitori, da bambino, da ragazzo e da adulto, alla celebrazione della Pasqua, perché il viaggio era obbligatorio per tutti gli Israeliti che avessero compiuto i dodici anni di età (Lc 2, 41). Ma il Séder celebrato ai Suoi tempi era alquanto diverso da quello celebrato dagli ebrei moderni, anche perché nel corso dei secoli – e soprattutto dopo la distruzione del Tempio nel 70 d. C. per opera delle legioni romane guidate da Tito – la celebrazione del rito pasquale subì molte modifiche.  Allora cosa avrà fatto esattamente Gesù nella Sua Ultima Cena? I Vangeli e gli Atti degli Apostoli mettono in particolare risalto la stretta relazione tra Gesù e la Pasqua, alla quale Egli ha attribuito un forte significato salvifico; tuttavia questo non è sufficiente a stabilire, come vorrebbero alcuni esegeti, un esatto parallelo tra la Sua Ultima Cena e il Séder pasquale israelitico. Infatti, mentre i Vangeli sinottici descrivono l’Ultima Cena con le esatte caratteristiche della Cena pasquale – consumata il giovedì sera, inizio liturgico del 14 del mese di Nissan, giorno di celebrazione della Pasqua ebraica – Giovanni parla genericamente di una cena “prima della festa di Pasqua” e colloca la morte di Gesù il giorno della Parasceve (19, 31), vale a dire la vigilia del 14 di Nissan, ragione per cui il corpo di Gesù fu deposto dalla croce così sollecitamente.

Quindi, secondo Giovanni l’Ultima Cena non poteva essere la cena pasquale perché Gesù era morto alcune ore prima della sua celebrazione. Gli esegeti hanno avanzato varie ipotesi per spiegare questa discordanza. Io, non essendo né un’esegeta, né una teologa, non ho i titoli  per prendere posizione, perciò mi limiterò soltanto a segnalare l’ipotesi più semplice: quella secondo la quale i quattro Evangelisti si siano basati su calendari diversi, quelli dei Farisei, dei Sadducei e degli Esseni.

La discordanza di momento e di data non è certo l’unica tra i Sinottici e Giovanni. Se quest’ultimo omette l’istituzione dell’Eucaristia, nondimeno egli cita un gesto di Gesù veramente rivoluzionario, perché illustra una Verità e impartisce un insegnamento fondamentale in senso cristiano: la propria “Kénosis”, ossia la lavanda dei piedi ai suoi discepoli, il proprio “svuotamento” o “abbassamento”, una mansione che era propria dei servi domestici. Perciò “(Gesù) pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spogliò se stesso / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini; / apparso in forma umana, / umiliò se stesso, / facendosi obbediente fino alla morte / e alla morte di croce” (Fil 2, 6 – 8).

La celebrazione della Pasqua ebraica era sicuramente il contesto più adeguato per istituire la nuova Pasqua cristiana. Le parole che Gesù rivolge ai discepoli durante la cena hanno uno straordinario tono di confidenza e di amore, una tale ricchezza di ricordi, di commozione, di sentimenti, di atti e di precetti che non dovremmo smettere mai di meditare e approfondire. “E’ una Cena testamentaria; è una Cena infinitamente affettuosa, e immensamente triste, ed insieme immensamente rivelatrice di divine promesse, di supreme visioni. La morte incombe, con inauditi presagi di tradimento, di abbandono, di immolazione; la conversazione subito si spegne, mentre la parola di Gesù fluisce continua, nuova, estremamente dolce, tesa verso supreme confidenze, quasi librata fra la vita e la morte”. (S. Paolo VI, Omelia del Giovedì Santo). Ciò che Gesù ha fatto per i suoi, si riassume in una brevissima frase: “Li amò sino alla fine”.

I discepoli vissero e compresero questi avvenimenti in un contesto pasquale che racchiudeva in sé la missione salvifica del Cristo. Perciò questo basta a noi cristiani per escludere che l’Ultima Cena coincida con il Séder ebraico, che è e resta un rito esclusivamente ebraico, anche se può aiutare a comprendere meglio il mistero e la ricchezza del gesto eucaristico di Gesù. “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, recita il rituale eucaristico romano. Perciò è errato parlare di un “Séder cristiano” o (come vorrebbero alcuni) “celebrare il Séder” all’interno di una comunità cristiana.

Anche la mia amica e studiosa ebrea è d’accordo. Ella propone piuttosto di studiare e riflettere sul testo del racconto della cena pasquale ebraica, con l’aiuto di un membro della comunità ebraica locale o di un esperto, nel pieno rispetto reciproco.

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