“Il Vangelo fa parte del paesaggio?”, di Rino Cammilleri – recensione

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Questo è un libro di eccezionale chiarezza e potenza nello smascherare gli orrori della miscredenza moderna.

 

Il Vangelo fa parte del paesaggio?” – di Rino Cammilleri – ed. Fede & Cultura

 

Consideriamo ad esempio il relativismo che nega l’esistenza della verità o la possibilità di conoscerla. Tale persuasione è di per se stessa un’idiozia: se non c’è la verità, nessuna affermazione è possibile, neanche dire che la verità non esiste. Ma l’autore scava più a fondo, esaminando le contraddizioni morali del relativismo. “La società si sminuzza in tribù e in corrispondenti lobby di pressione, in una guerra di tutti contro tutti che ci riporta alla legge del più forte. Dire che la verità non esiste significa smettere di cercarla, cosa che, anche qui, ci riporta più indietro dei tempi degli antichi greci. Il secondo effetto è la confusione, perché la vita stessa perde di senso. Senza verità, mi perdoni Lapalisse, c’è l’errore, nel senso etimologico di errare, cioè vagare senza meta, perdersi, sbagliare continuamente strada. La terza vittima è la fratellanza umana, uccisa dall’incomunicabilità (…). Ciò aumenta la solitudine. (…) Il livello di egoismo sale a vertici inauditi. Se ognuno è portatore di una sua verità personale e ogni verità vale l’altra, anche l’etica si relativizza, dando luogo a una società potenzialmente criminale, che poliziotti e psichiatri non bastano a tenere insieme. Anche l’intelligenza muore e l’individuo annaspa in un’esistenza di fatto senza scopo. L’intelligenza, infatti, è la facoltà che ci fa conoscere il reale (…) uno è tanto più intelligente quanto più è capace di penetrare nella realtà, nelle cose come sono, non come le ha fabbricate la sua fantasia. La verità esiste, deve esistere, altrimenti siamo perduti. Ma solo quelli che la cercano hanno qualche speranza di trovarla. Gli altri, forse potranno anche diventare ricchi come Dan Brown, ma non potranno sottrarsi allo sbattere, prima o poi, contro quel muro che si chiama morte, e che non c’è relativismo che possa scansare.” Un perfetto ritratto dell’effetto disumanizzante del relativismo: il relativista ha rinunciato ad essere uomo. Un calzante ritratto dello squallore che regna nelle paludi accademiche, non solo italiane. Non a caso il relativismo sorge dopo il fallimento della criminale ideologia marxista; è come se dicessero: “Se abbiamo fallito noi, nessun altro può riuscire”.

Con fermezza e icastica precisione, l’autore smonta i feticci della miscredenza contemporanea. Sull’educazione sessuale: “Credo che l’educazione sessuale a scuola complessi quelli (e quelle) che al sesso preferiscono lo sport, gli amici, i fumetti. Come quei miei antichi compagni di liceo, che prendevamo in giro perché alle ragazze non pensavano proprio. Solo loro, però, hanno avuto una vita coniugale felice. Gli altri, tutti pluridivorziati.” Colpito e affondato.

Sul mito dell’umanesimo: “La scuola ci ha abituati a pensare all’Umanesimo come a un passo avanti, un progresso rispetto al Medioevo. Non a caso il periodo immediatamente successivo viene entusiasticamente definito Rinascimento. La realtà è che l’Umanesimo, lungi dall’essere progressista, era proprio il contrario, un ritorno indietro, un tentativo di restaurazione dell’età classica, ovviamente mitizzata.” (…) Agli umanisti non importava la religione. Le questioni teologiche erano solo per le masse superstiziose. Gli intellettuali, invece, erano la razza superiore. “Forse per questo San Francesco d’Assisi non voleva che i suoi frati studiassero. E consentì di istruirli solo a un santo: Antonio di Padova.” E giustamente, in altro capitolo, l’autore rileva come “le donne nei secoli cristiani (ossia nel Medioevo) non avevano bisogno di ‘quote rosa’ per affermarsi”.

Puntuale la diagnosi della profonda vergogna della Francia: alleata dei turchi infedeli, a partire da Francesco I; e poi ribelle a Cristo con Luigi XIV che non obbedì al suggerimento celeste di consacrare la nazione al Sacro Cuore: ci saremmo risparmiati la rivoluzione francese e gli orrori susseguenti, o almeno sarebbero stati forse ritardati e attenuati, chissà.

Commovente la rievocazione della storia terribile ed eroica del cardinale Mindszenty, perseguitato dai demoni nazisti e comunisti e vergognosamente esautorato da Montini, in piena foia di “andare incontro al mondo”. L’autore prospetta per la Cina la somiglianza con l’Ungheria sotto il tallone comunista: scrive che “il Vaticano, memore forse dell’esperienza della Ostpolitik, tiene duro.” Ma, ahimé, il Vaticano ha svenduto la Chiesa cinese, idolatra la Pachamama e, se deve prendersela con qualcuno, insulta gli “sgranarosari”, “marci nel cuore”, ecc. Dove si vede che al peggio non c’è limite.

Gustosissimo il capitolo su Pasquino, che tacque per sempre quando entrarono a Roma i plumbei piemontesi che non avevano il senso dello humour. Non per non per niente i piemontesi sono i prussiani d’Italia.

Molto informativo e particolarmente avvincente è il capitolo sulla Seconda Sindone. Nel 1563, per contatto con la vera Sindone, fu creata un’immagine sindonica oggi conservata ad Arquata del Tronto. “Come si sia formata (…) l’immagine del corpo di Cristo nella Seconda Sindone non è ancora dato sapere. La Scienza ci sta lavorando.  D’altra parte, ancora non si sa come si sia formata quella della Prima. O meglio: si sapeva quando la gente credeva all’evidenza; il ‘mistero’ è cominciato quando la Scienza si è interposta d’autorità tra la gente e l’evidenza. E quel che è sempre stato chiaro è diventato di colpo oscuro. La procedura ‘scientifica’ è stata la seguente: prima è stato dichiarato che i miracoli non possono esistere (dichiarazione unilaterale e dogmatica), poi si è cominciato a brancolare nel ristretto ambito nel quale ci si era rinchiusi. E finalmente, ecco il grido di trionfo: falso medievale! Perché di trionfo? Non saprei come altrimenti spiegare la presenza di un vistoso punto esclamativo accanto alla data “medievale” vergata sulla lavagna il giorno, del 1988, in cui i laboratori incaricati comunicarono alla platea il risultato dell’analisi al Carbonio 14. (…) i risultati di allora sono stati abbondantemente confutati e nessuno studioso più ne tiene conto (…) scartato a priori il miracolo, rimane solo l’assurdo (cioè: non è un falsario medievale? Allora è un alieno o Capitan America).” Ma a tutt’oggi, eccetto qualche studioso con un residuo di coscienza, nel beota ma potentissimo mondo anglosassone, la credenza nella datazione medievale della Sindone è ben radicata. L’ho constato di persona nella mia diatriba col Museo della (si fa per dire) Scienza di Londra, e naturalmente il Times si è guardato ben dal pubblicare la mia lettera di protesta. Ah, questi liberali! Come sono liberali nell’occultare la verità.

Tornando alle acute osservazioni dell’autore, che meriterebbero di essere tutte riportate (ma chi non ha il libro lo compri e non se ne pentirà), trovo di estremo interesse il suggerimento (che nessuno dei delinquenti che signoreggiano sul pianeta seguirà), secondo cui “ci sarebbero tutti i motivi per continuare a investire nelle esplorazioni spaziali, così da moltiplicare nuovi materiali e marchingegni. E sarebbe un campo adatto all’applicazione del principio di sussidiarietà, perché i governi interverrebbero solo per la parte eccedente le possibilità delle aziende private (le quali hanno interesse a testare molecole, tessuti e quant’altro in condizione di assenza di gravità). Il risultato finale sarebbe un ulteriore passo avanti verso una vita materialmente migliore. Ma quel che muove gli uomini è l’idea che hanno di se stessi e del mondo. Oggi il panteismo impedisce perfino quelle coltivazioni OGM che allevierebbero la fame di mezzo pianeta, e un inedito ‘principio di precauzione’ (un premio in sloganologia a chi l’ha inventato) finirà con l’imporci di non uscire di casa perché potrebbe caderci un vaso di fiori in testa. Con tale ‘principio’ Colombo non si sarebbe certo avventurato nel mare Oceano su tre bagnarole. Eh, le posizioni eretiche sono come quelle erotiche: ripetitive e alla fine noiose. Infatti, i ‘progressisti’ odierni sono già stati visti e si chiamavano Catari. Come i loro antenati, odiano la procreazione e non mangiano carne. Perché odiano la Creazione e, dunque, il suo culmine, l’umanità. Perché, suadente diabolo, odiano il Creatore.” Conclusione ineccepibile.

L’autore traccia magistralmente la triste storia delle persecuzioni anticattoliche nel paese modello, tempio ed esempio della “democrazia”. A proposito della congiura delle polveri del 1606, “c’è chi sospetta che sia stata ideata da agenti governativi infiltrati tra i cattolici allo scopo di farli venire allo scoperto ed eliminare in un sol colpo il problema ‘papista’ in Inghilterra. Infatti le ‘confessioni’ furono ottenute sotto tortura, in qualche caso mortale. Quella di Fawkes, in particolare, risulta firmata con una calligrafia diversa dalla sua. Il fantomatico tunnel scavato sotto Westminster e imbottito di polvere da sparo non fu mai trovato. (…) In Inghilterra, data l’ecatombe di cattolici provocata da  Enrico VIII e proseguita alla grande dalla figlia Elisabetta I, il papa San Pio V aveva scomunicato quest’ultima, sciogliendone i sudditi da ogni vincolo di obbedienza. A quel punto era scattata la dottrina del tirannicidio, ammessa dalla Chiesa fin dai tempi di San Tommaso d’Aquino e riassumibile così: quando un governo diventa tirannico e usa la forza soprattutto per trascinare il popolo all’apostasia, è lecito resistergli quando ve ne siano le condizioni.” Purtroppo la spedizione punitiva dell’Invincibile Armata fallì per una serie di ragioni: maltempo, navi alte che costituivano un facile bersaglio e dotate di artiglierie antiquate, errori del comando spagnolo. L’autore individua come principale quest’ultima ragione: si era presentata l’occasione di distruggere la flotta inglese alla fonda ma venne perduta per obbedire pedissequamente all’ordine di recarsi nelle Fiandre a imbarcare fanteria per lo sbarco in Inghilterra. Purtroppo fu perduta così l’occasione di una energica riconquista cattolica del paese, che una vittoria spagnola avrebbe reso possibile, visto che gli inglesi, specie nel nord, erano ancora fedeli alla Chiesa. Quando l’eresia e la sete di denaro ebbero sufficientemente intorpidito le coscienze, la persecuzione si attenuò: “col tempo (molto tempo), si tramutò in amministrativa e relegò i cattolici al rango di cittadini di serie B, con tanto – perfino – di divieto di testamento. Cessò del tutto solo a metà dell’Ottocento.”

Stupenda la rievocazione del martirio delle suore di Valenciennes durante la bestialità rivoluzionaria. “Il 30 settembre 1790 i commissari politici della municipalità di Valenciennes si presentarono alla porta del convento delle suore orsoline. La Costituente rivoluzionaria aveva ordinato di fare l’inventario dei beni della comunità perché (…) tali beni dovevano diventare proprietà della Nazione. Come ebbe a sbottare lo storico francese Pierre Chaunu (protestante e liberale) all’ora del bicentenario della Rivoluzione, ‘i beni della Chiesa, che da secoli mantenevano scuole e ospedali, vennero accaparrati da una masnada di ottantamila famiglie di ladri’. Si riferiva alla nomenklatura rivoluzionaria, che trasformò la sua fame di denaro in guerra di religione.” Dopo alterne vicende, le truppe francesi ricacciarono gli austriaci che avevano occupato Valenciennes e, “il 26 agosto eccoli di nuovo (…). Con le truppe arrivò anche il rappresentante della Convenzione, Jean-Baptiste Lacoste, un fanatico sanguinario che aveva una sola ossessione: la ghigliottina. Alcune suore scapparono, la superiora e poche altre scelsero di rimanere. Lacoste cominciò col mettere in prigione i ‘sospetti’ e sguinzagliò i suoi sgherri dietro alle suore fuggiasche, che furono  riprese. Poi chiese l’invio di una ghigliottina, perché la città ne era priva e lui non poteva lavorare senza il suo strumento preferito. (…) Quale sia stata l’utilità pratica, per la Francia della Liberté-Egalité-Fraternité, dell’omicidio di queste religiose lo lascio alla vostra immaginazione.” Jean-Baptiste Lacoste fece carriera e diventò prefetto napoleonico durante l’Impero, morendo tranquillamente nel suo letto.”

Veramente formidabile, e poco nota, è la storia del velo del Tempio, il Parokhet, squarciatosi alla morte del Salvatore sulla Croce. Quando si parla di velo, viene spontaneo pensare a un tessuto tenue. Macché, era una specie di materasso. L’autore spiega che “di veli, nel Tempio di Gerusalemme, ce n’erano due: uno stava davanti all’altare dell’incenso, dove i sacerdoti accedevano ogni giorno; l’altro separava la zona riservata ai sacerdoti da quella del Santo dei Santi, nella quale poteva entrare solo il Sommo Sacerdote una volta all’anno nel giorno dell’Espiazione. Fu quest’ultimo il velo che si squarciò. E i sacerdoti del cortile dell’incenso lo trovarono diviso in due, dall’alto in basso. Ma la meraviglia sta nel fatto che si trattava di un drappo enorme. Alto quasi venti metri e spesso dieci centimetri. Dice lo storico Flavio Giuseppe che neanche la forza di due cavalli, uno di qua e uno di là, sarebbe riuscito a lacerarlo. Per tirarlo giù, arrotolarlo e portarlo a lavare ci volevano decine di uomini (pare una settantina). (…) La testimonianza unanime che il Parokhet si squarciò dall’alto in basso (…) fa pensare ad alcune cose. Una: il velo non era caduto per terra ma era ancora in piedi. Due: lo squarcio non era artificiale, perché, anche adoperando diverse pariglie di cavalli si sarebbe proceduto necessariamente nella parre bassa. Tre: che parecchi uomini robusti si siano arrampicati per venti metri onde procedere al taglio dall’alto è semplicemente assurdo, dato il luogo e le circostanze. Non solo: sarebbe mancato il movente. E ricordiamoci che lì potevano entrare solo i sacerdoti. Infine, sappiamo che il Parokhet era una tenda, plausibilmente agganciata a occhielli metallici che scorrevano su una sbarra orizzontale o fornita essa stessa di occhielli che scorrevano in una sbarra oppure direttamente (ma non permanentemente) fissati all’architrave. Per tutto ciò, uno squarcio repentino e dall’alto non poteva essere che di natura soprannaturale. Qualcuno ha osservato che il fatto richiama lo stracciarsi delle vesti del Sommo Sacerdote quando sentì il Nazareno ammettere che, sì, il Messia era davvero lui. Adesso era Dio stesso che, stracciava la veste che Lo ricopriva.”

Concludendo, questo libro è una vera miniera di preziose notizie che i padroni della comunicazione (e della menzogna) ci nascondono, espresse in stile inimitabile, semplice, diretto, convincente, anche quando espone verità filosofiche fondamentali.

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