La (grande) Storia nei (piccoli) Canti popolari/X

.

Signor lo Re a j’ha bin dije…

 

Canzone nr. 143: Il barone di Leutrum (1755)

 

Andrin Turin a j’é dij cont, a j’é dij cont e de le dàime,

E de le dàime e dij baron, pianzo la mòrt ’d baron Litron.

Signor lo re, quand l’ha savù, ch’baron Litron l’era malavi,

Cmanda caròsse e carossé, baron Litron l’é andà trové.

Quand l’é ruvà a Madòna dl’Orm, prima d’intré ’nt la sità ’d Coni,

Toco trombëtte, sparo canon, për ralegré baron Litron.

Signor lo re, quand l’é stàit là: – Baron Litron, com a la va-la?

– Sta maladìa j’hò da murì, j’hò pì speransa de varì. –

Signor lo re s’a j’ha bin dit: – Baron Litron, fate corage;

Mi te dareu dl’òr e dl’arzan, mi te fareu prim general. –

– Òh s’a j’é pa né òr né arzan, che mai la mòrt l’abia për scusa.

J’é pa né re né general, che mai la mòrt j’abia rësguard. –

– Òh dime ’mpò, baron Litron, òh veus-to nen che te bateso?

Farìa vnì ’l vësco ’d Turin, mi sërvirìa për tò parin. –

Baron Litron s’a j’ha bin dit: – Sia ringrassià vòsta coron-a,

Mi peuss mai pì ruvé a tan’; o bon barbèt, o bon cristian. –

– Òh dime ’mpò s’t’hai da murì, òh dova veus-to ch’a te sotero?

Te fareu fé na cassia d’òr, te fareu fé d’un grand onor. –

– Mi lassereu për testament, ch’a me sotero an val ’d Luserna;

An val ’d Luserna a me sotraran, dova ’l me cheur s’arpòsa tan’. –

Baron Litron a l’é spirà; pioré, baron, pioré, voi dàime,

Soné le ciòche, sparé ij canon, ch’a l’é spirà baron Litron!

 

[Cuneo. Cantata da un sonatore mendico di Cuneo]

 

Dentro a Torino ci sono conti, ci sono conti e gran dame,/ E dame e baroni, piangono la morte di baron Litron./ Signore il re quando ha saputo, che baron Litron era malato,/ Comanda carrozze e cocchieri, baron Litron è andato a trovare./ Quando arrivò a Madonna dell’Olmo, prima di entrare nella città di Cuneo/ Suonano trombe, sparano cannoni, per rallegrare baron Litron./ Signore il re, quando è stato là: – Baron Litron, come va? –/ – Per questa malattia devo morire, non ho più speranza di guarire. –/ Signore il re gli ha ben detto: – Baron Litron, fatti coraggio;/ Io ti darò oro e argento, io ti farò primo generale. –/ – Oh se non c’è né oro né argento, che mai la morte abbia per scusa./ Non c’è né re né generale, a cui mai la morte abbia riguardo. –/ – Oh dimmi un po’, baron Litron, oh non vuoi che ti battezzino?/ Farei venire il vescovo di Torino, io ti farei da padrino. –/ Baron Litron gli ha ben detto: – Sia ringraziata vostra corona./ Io non posso più arrivare a tanto; o (essere) buon barbetto o (essere) buon cristiano. –/ – Oh dimmi un po’ se devi morire, dove vuoi che ti sotterrino?/ Ti farò fare una cassa d’oro, ti farò fare un grande onore. –/ – Io lascerò per testamento, che mi sotterrino in val di Luserna;/ In val di Luserna mi sotterreranno, dove il mio cuore si riposa tanto. –/ Baron Litron è spirato; piangete, baroni, piangete, voi dame,/ Suonate le campane, sparate i cannoni, ché è spirato baron Litron.

 

Testo

Il testo, piuttosto breve e compatto, è uno dei più famosi canti popolari della regione, diffuso appunto in quasi tutto il suo territorio, a testimonianza (nota il Nigra) della buona fama che il Leutrum ebbe sia da vivo che dopo la morte. Prova della sua ampia diffusione è che il Nigra stesso ne riporta due redazioni molto diverse tra loro, di cui quella qui da noi riportata, presentando almeno sei sottoredazioni con numerosissime varianti[1], si dimostra essere la più nota e diffusa delle due.

La canzone, come si rileva anche dagli arcaismi[2], deve essere stata composta immediatamente dopo la dipartita del protagonista, la cui memoria doveva essere ancora ben viva tra la gente comune, dato che era stato proprio lui a salvare, nel corso delle guerre da poco concluse, non solo Cuneo ma tutto lo stato grazie alle sue vittorie militari.

Tra le varianti testuali più interessanti rileviamo in primo luogo quella presente nella redazione di Montaldo di Mondovì, laddove, in risposta alla richiesta del sovrano relativa al “battesimo” del Barone, egli dichiara: “Son nà ’nt ra lege dij Barbèt/ mi veuj murì ’n brass a Maumèt” (“Sono nato nella legge dei Barbetti[3]/ io voglio morire in braccio a Maometto”): l’ingenuità popolare portava a considerare come estranea (ed erronea) qualunque religione che non fosse la cattolica, arrivando ad identificare, come qualcosa di negativo, protestantesimo e maomettanesimo[4].

Meno evidente, ma più localmente incisivo, il fatto che nella versione raccolta a Torre Pellice e trasmessa da tal Gaudenzio Caire, si determini meglio il luogo di sepoltura voluto dal Barone identificandolo con “an val Luserna, ant la gliza de San Gioann” (“in val Luserna, nella chiesa di San Giovanni”).

Interessante poi la citazione della località di Madonna dell’Olmo, sobborgo di Cuneo che sorge poco distante, in direzione nord-ovest, dalla città. Infatti tale località, essendo sulla strada che doveva percorrere chi da nord (cioè da Torino) si recava a Cuneo, dimostra sia conoscenza dei luoghi da parte di chi ha elaborato il testo, ma anche una (forse inconscia, chissà…) volontà di elogio nei confronti del Barone: alla Madonna dell’Olmo si svolse infatti (nel settembre del 1744) una famosa battaglia che, pur vinta dai franco-spagnoli, determinò in seguito il volgersi a favore dei piemontesi delle sorti della guerra. In tale occasione Leutrum, pur non partecipando alla battaglia in sé, fu tuttavia uno dei protagonisti in quanto governatore e (difensore) di Cuneo assediata.

 

Vicenda

La vicenda narrata è di per sé quanto mai semplice: gli ultimi istanti di vita del protagonista, il barone Carlo Sigismondo Federico Guglielmo di Leutrum, governatore di Cuneo, detto popolarmente, con adattamento fonetico del suo nome alla pronuncia piemontese, Baron Litron[5]. Ma in questa vicenda due sono gli aspetti che vengono sottolineati: la visita, non formale ma amichevole, del Re, che giunge a Cuneo in pompa magna, con tamburi, trombe e seguito di dignitari, per rendere onore a chi aveva contribuito in larga misura a salvargli il regno, ed il dialogo tra i due sulla possibilità che il barone (luterano) si faccia “battezzare”, cioè in realtà abiuri la sua fede per farsi cattolico.

Nel dialogo tra il Re ed il Barone emergono alcuni elementi popolari, quali l’uso impreciso del termine “cristiano”: il Barone non vuole farsi “battezzare”, così come gli chiede il suo sovrano, anche se in realtà più che del battesimo si tratterebbe dell’abbracciare il cattolicesimo al posto del luteranesimo, perché – egli sostiene – o si è “buon protestante” (bon barbet) o “buon cristiano” (bon cristian), volendo ovviamente intendere “cattolico”. Evidentemente l’estensore popolare del testo identifica in modo assoluto cattolici e cristiani, relegando i protestanti (barbetti) nella posizione di “non cristiani”.

Un altro elemento interessante – sempre legato alla confessione religiosa del moribondo – è la sua richiesta, in risposta alla precisa domanda del Re (“dova veus-to ch’a te sotero?”, “dove vuoi che ti sotterrino?”), di essere sepolto “an val ’d Luserna”, nella valle di Luserna (San Giovanni). Il paese di Luserna San Giovanni era allora sia il più importante centro abitato della val Pellice (detta appunto “val di Luserna”) sia delle chiese riformate, ruolo attualmente svolto da Torre Pellice, la “capitale” dei valdesi delle valli. Leutrum verrà dunque sepolto nel tempio riformato del Ciabass (in francese Chabas, in italiano Chiabasso) a Torre Pellice, dove si sarebbe dovuta anche apporre in seguito una lapide in suo ricordo, lapide che però si ruppe prima di esservi collocata, andando poi perduta[6].

 

Personaggi

Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum (Dürrn, 1692-Cuneo, 1755) nacque dalla seconda moglie del barone Federico Sigismondo von Leutrum. Trascorse i primi anni di vita presso il castello di Karlshäuser a Ölbronn-Dürrn, nel Baden-Württemberg. Giunse per la prima volta in Piemonte all’età di quattordici anni unendosi, assieme al fratellastro Karl Magnus, alla scorta che accompagnava il principe Eugenio di Savoia. In quell’occasione decise di intraprendere la carriera militare presso l’esercito sabaudo.

Promosso Capitano di fanteria nel 1716 venne posto a servizio dell’armata sabauda nel Reggimento di Fanteria Alemanna Schoulembourg, col quale partecipò attivamente alla campagna alpina del 1708. Nel 1721 fu promosso Maggiore e nel 1725 divenne Luogotenente Colonnello del Reggimento di Fanteria Alemanna Rehbinder[7], di cui fu promosso Colonnello comandante nel 1732. Al comando di questo reggimento prese parte alla Guerra di Successione Polacca, distinguendosi particolarmente durante l’assedio di Gera Pizzighettone (inverno del 1733). Nel 1735 fu promosso Brigadier Generale.

Allo scoppio della Guerra di successione austriaca Leutrum fu inviato immediatamente a combattere nella Pianura Padana poiché il Reggimento Rehbinder era una delle unità piemontesi più pronte all’azione in quel settore del fronte. Nel corso della campagna Carlo Sigismondo si distinse particolarmente in occasione della battaglia di Camposanto (febbraio 1743), quando durante la seconda fase dei combattimenti tre brigate spagnole di fanteria riuscirono a porre in fuga la prima linea dell’ala destra dello schieramento austro-piemontese; dalla seconda linea tuttavia tre battaglioni dei reggimenti Savoia, Piemonte e Rehbinder costrinsero i reparti spagnoli alla ritirata. Leutrum riportò gravi ferite in battaglia, ma nel gennaio 1744 fu promosso Maggior Generale.

Dopo la convalescenza, trascorsa a Torino, fu trasferito sul fronte occidentale, prima ad Orbassano e successivamente in Val di Susa. Nella primavera del 1744 Leutrum è presso il campo trincerato di Villefranche ed il 20 aprile prende parte alla battaglia che i franco-spagnoli hanno scatenato per prendere il controllo del porto marittimo. Al comando dei granatieri del Reggimento Bourgsdorff (ovvero sempre il Reggimento Rehbinder, a cui nel frattempo è stato cambiato nome) riuscì a riconquistare le ridotte occupate dal nemico presso il Mont Gros e sul Collet de Villefranche, grazie ad una brillante manovra a tenaglia coordinata con i granatieri dei reggimenti Saluzzo, Tarantasia e Guibert. Terminate le operazioni a Villefranche, Leutrum mosse verso Oneglia e rientrò infine in Piemonte, dove, nel corso dell’estate, fu nominato comandante del territorio comprendente le Valli Susa e Chisone.

Nel luglio 1744 è in Val Varaita e prende parte ai combattimenti di Pietralunga, quando l’armata franco-spagnola, dopo aver spezzato il fronte, aveva costretto alla resa il forte di Demonte e posto sotto assedio la città di Cuneo, allora un punto strategico molto importante del Piemonte sud-orientale, di cui Re Carlo Emanuele III nominò Leutrum Governatore. Egli organizzò in modo esemplare le difese e la vita cittadina. Il 22 ottobre l’assedio era già terminato: è questo uno degli episodi più gloriosi e celebri tra le imprese militari di Leutrum. Nell’ottobre dello stesso anno la carica di governatore della città e della provincia di Cuneo gli fu rinnovata e nel maggio 1745 fu promosso Tenente Generale. Nello stesso anno i franco-spagnoli tornarono all’attacco impiegando Genova come base strategica: dopo aver aggirato le Alpi liguri costrinsero l’esercito sabaudo a ritirarsi sulla linea Ivrea-Chivasso-Villafranca d’Asti. Leutrum fu incaricato della difesa delle Alpi Marittime: nell’agosto, a Ceva, ottenne l’unica vittoria piemontese di quella disastrosa campagna e nell’ottobre successivo riusciva nuovamente a fermare l’avanzata francese verso Ceva e Mondovì.

Nell’inverno 1745-1746, mentre ormai è considerato di fatto il comandante generale dell’esercito sardo, con la presa di Costigliole (novembre 1745) Leutrum riuscì a consolidare il fronte ad ovest di Asti, città in mano ai franco-spagnoli. Nel febbraio del 1746, dopo aver riconquistato i castelli di Balangero e Castagnole delle Lanze, fu in grado di tentare la riconquista di Asti. In questa offensiva, che ebbe luogo nel corso di una tempesta di neve, Leutrum si trovò per la prima volta alla testa di un’armata numerosa (31 battaglioni di fanteria e 6 reggimenti di cavalleria, per un totale di circa 30.000 uomini). L’impresa fu un successo di proporzioni storiche: il 7 marzo Asti fu nuovamente in mano sabauda. Il 10 marzo fu liberata anche la Cittadella di Alessandria[8]. Il 17 aprile mosse infine verso la piazzaforte di Valenza, conquistandola il 4 maggio 1746.

Il 28 marzo 1746 Leutrum raggiungeva ufficialmente, con il grado di Generale di fanteria, i vertici dell’esercito del Regno di Sardegna. Nel 1747 ebbe l’incarico di difendere il fronte del ponente ligure e, nonostante le esigue forze di cui disponeva, riuscì ad arrestare un’armata franco-spagnola composta da oltre 50 battaglioni sulla linea Saorgio-Oneglia-Savona, consentendo così all’esercito imperiale che assediava Genova di giungere tempestivamente. Al termine della Guerra di successione austriaca (1748, con la pace di Acquisgrana) Leutrum fu confermato Governatore di Cuneo, città in cui morì nel 1755.

Le sue grandi doti strategiche poste al servizio dell’esercito sabaudo e la sua proverbiale incorruttibilità lo resero un personaggio assai amato dal popolo, come testimonia – lo abbiamo già notato – la canzone popolare di cui ci stiamo occupando.

 

Carlo Emanuele III (Torino, 1701-1773) fu Re di Sardegna dal 1730, in seguito all’abdicazione di Vittorio Amedeo II, fino alla morte.

Sotto il suo regno lo stato di Sardegna continuò a militare al fianco di Austria ed Inghilterra contro Francia e Spagna nelle guerre di successione polacca ed austriaca, ottenendo considerevoli acquisizioni territoriali, che ne portarono il confine al Ticino: Langhe, tortonese e Novara (pace di Parigi, 1738); Vigevano, Voghera e Bobbio, nell’Oltrepò pavese (pace di Acquisgrana, 1748).

Protesse anche artisti ed intellettuali, tra cui lo storiografo modenese Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), e si servì dell’opera di J. J. Rousseau (1712-1778) per la redazione del primo catasto del regno (1770).

Si sposò per tre volte e dal suo secondo matrimonio, con Polissena d’Assia-Rheinfels-Rotenburg, ebbe sei figli, tra cui il suo successore sul trono di Sardegna, Vittorio Amedeo III (1726-1796).

.

[1] I due testi sono quello raccolto a Cuneo (che si riproduce) ed un altro a Torre Pellice; di quello cuneese Nigra riporta varianti raccolte a Torino, Valfenera d’Asti (due versioni), Montaldo di Mondovì, Moncalvo d’Asti e La Morra.

[2] Tra questi notiamo dàime (dame), pianzo (pioro, “piangono”, che pure troviamo nel testo), l’articolo maschile lo (ël), ruvà (rivà, “arrivato”), arzan (argent), sotraran (sotreran, “sotterreranno”).

[3] Il termine Barbèt (nella forma italianizzata “Barbetto”) è il modo comune piemontese, e non solo popolare, per indicare sia i protestanti delle valli Valdesi (Pellice, Chisone, Germanasca) che i protestanti in genere: anzi, il vocabolo subisce anche, nell’uso più prettamente popolare, uno spostamento semantico, passando ad indicare prima chi, anche cattolico, non dimostra però una seria pratica religiosa o vive in modo non consono coi principi morali e religiosi, e poi tout court la persona disonesta, malvagia, di cui non fidarsi. L’etimo è da ricercarsi – quasi certamente – nel termine barba (letteralmente “zio” o anche, più genericamente, “anziano”), con cui venivano indicati sia i capi religiosi dei movimenti ereticali medievali dell’Italia settentrionali sia poi i pastori delle sette protestanti dopo la riforma e, soprattutto, dopo il sinodo di Chanforan (1532), in cui gli eretici valdesi delle valli pinerolesi avevano aderito alla riforma protestante, in particolare al calvinismo.

[4] Non dimentichiamo che nella cultura popolare italiana (e non solo in quella piemontese) il nome “Maometto, Macometto, Bafumetto” era usato spesso come sinonimo di quello del diavolo, similmente a Belzebù o ad altri nomi che suonassero strani ed “esotici”.

[5] Non sfugga tuttavia una nota popolarmente ironica: Litron, adattamento-volgarizzamento di Leutrum, significa anche “grande litro”, o meglio “bottiglione”, recipiente che in piemontese si dice pinton. Un accenno scherzoso ad una particolare simpatia del barone per il bere del buon vino pedemontano?

[6] Il testo latino di detta lapide, ritrovato dal Nigra negli archivi del Regno, è riportato dal Nigra stesso a pag. 637 della sua edizione.

[7] Tale reggimento venne poi denominato Bourgsdorff e in seguito Leutrum.

[8] Di queste sue imprese si accenna anche in una canzone anonima relativa all’assedio di Alessandria di quello stesso anno.

Condividi questo articolo:

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Print

Lascia un commento:

Iscriviti alla nostra newsletter

Ogni settimana riceverai i nostri aggiornamenti e nulla di più.

Torna in alto