La “Santa pazzia” dei cristiani

“Insanis, Paule; multae te litterae ad insaniam convertunt!” (At, 26, 24)

Secondo una massima di S. Antonio Abate – citata da Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano Laziale[1]“verrà un tempo in cui gli uomini diverranno pazzi e, al vedere qualcuno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro dicendo: “Tu sei pazzo” a motivo della sua diversità da loro”.

Niente di più vero e di più profetico soprattutto, io credo, con riferimento ai cattolici del nostro tempo, vittime dello scristianizzato pensiero unico dominante, per i motivi che cercherò di spiegare. Infatti la “pazzia”, nel linguaggio comune e familiare, è quasi sempre stato sinonimo di irragionevolezza, illogicità, carenza di senno e, più precisamente ancora nel nostro tempo, manifestazione di pensiero e di comportamento ritenuti politicamente scorretti, perché si oppongono all’ideologia imposta dai gruppi di potere o di pensiero che hanno preso il sopravvento.

Perciò, come espressione umana contraria alla ragione condivisa, la “pazzia” ha percorso nei secoli anche tutta la storia della Chiesa, soprattutto attraverso le parole e gli atti di molti grandi Santi. Tra questi, i primi che mi vengono in mente sono S. Francesco di Assisi – che, per votarsi alla povertà evangelica, non esitò a spogliarsi delle vesti in pubblico, rimanendo nudo e passando appunto per “pazzo” tra i “saggi” suoi concittadini – e S. Tommaso Moro, il Gran Cancelliere d’Inghilterra il quale, per rimanere fedele alla Parola di Dio sul Sacramento del Matrimonio, non esitò a opporsi al Re, affrontando il patibolo e passando appunto per “pazzo” tra i suoi “saggi” e opportunisti amici, i quali invece, per vigliaccheria, si erano adeguati al pensiero unico allora dominante imposto dall’adultero ed eretico Re Enrico VIII per soddisfare i propri comodi. Come tutti sanno, la Chiesa lo ha proclamato Patrono dei politici i quali, dati i tempi che viviamo, dovrebbero tenere tutti il suo ritratto nei loro uffici per guardarlo spesso e invocarne la protezione.

Inoltre, l’aggettivo “pazzo” non sempre ha avuto un significato patologico in senso moderno: più spesso è stato attribuito ad esso un significato diverso da quello di un reale disagio mentale. Molte volte, poi, si è ritenuto che il genio andasse di pari passo con la follia, come avvenne, nel I secolo a. C., per il poeta latino Lucrezio. Nel medioevo il “folle del re” era il buffone di corte che poteva permettersi sfacciatamente di schernire e beffare i personaggi importanti senza temere la loro vendetta perché protetto dal sovrano, proprio perché ritenuto “pazzo”. Pensiamo infatti alle splendide figure dei giullari (tutt’altro che pazzi) descritte da Shakespeare in “Re Lear” e in “Amleto”, o al personaggio di Rigoletto nell’opera di Verdi, un gobbo irriso dai cortigiani che lo chiamano “pazzo”, mentre è solo un povero padre che tenta disperatamente di proteggere la sua amatissima e sprovveduta figlia insidiata da chi, molto più potente di lui, la circuisce e mira solo a sedurla.

Quindi, poiché l’attributo “pazzo” può avere molti significati, il verbo greco “maìnomai”, usato da S. Antonio nella sua sentenza, può essere tradotto in italiano (osserva Mons. Semeraro) anche con “smaniare” o “essere fuori di sé”. Quest’ultima è l’espressione usata in greco dall’Evangelista Giovanni nel descrivere quanto dissero i Giudei di Gesù e così tradotta da S. Girolamo nella sua Vulgata: “Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?”.  Giovanni, però, aggiunge anche che, dopo la guarigione del cieco nato, “altri invece dicevano: “Queste parole non sono di un indemoniato: può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?” (Gv 10, 20 – 21). Questo dimostra la diversità di significato che può assumere questa espressione.

Altri esempi interessanti di quanto sto affermando li troviamo negli Atti degli Apostoli a proposito di S. Paolo che, dopo Gesù, è la figura spiritualmente più affascinante di tutto il Nuovo Testamento. Arrivato ad Atene, importante mèta dei suoi viaggi missionari, Paolo parla del “Dio sconosciuto” sia nella locale sinagoga che nell’Areopago: la maggior parte del pubblico ateniese, colto ed ottimo cultore della filosofia epicurea e stoica, era curiosa di avere notizie della nuova dottrina che si stava diffondendo sulle sponde del Mediterraneo orientale, ma quando sentì parlare della Resurrezione del Cristo, quel pubblico – molto più educato e civile di tanti moderni frequentatori delle manifestazioni pubbliche e soprattutto degli stadi di calcio del XXI secolo – invece di rumoreggiare sentendo una dottrina così assurda per le sue orecchie, si limitò a dire all’oratore: “Ti sentiremo su questo un’altra volta”, pensando di avere di avere a che fare con un mentecatto (At 17, 32)

Qualcosa di simile avviene più tardi, durante il giudizio cui fu sottoposto Paolo davanti al governatore di Giudea, Porcio Festo, su denuncia dei capi dei sacerdoti e degli anziani dei Giudei, culminato con l’impugnazione della sentenza da parte dell’imputato il quale, forte della sua cittadinanza romana, si appella al giudizio dell’Imperatore. Tuttavia la controversia relativa alla Resurrezione di Cristo, su cui era imperniata l’accusa di bestemmia, gravissima e passibile di morte per il diritto ebraico, era invece del tutto inconsistente per il diritto positivo romano che, data la nota tolleranza dei romani in materia religiosa, non la considerava affatto un “crimen” e, di conseguenza, non prevedeva per essa alcuna sanzione penale. Infatti il povero Festo – il quale, da ottimo conoscitore del diritto quale era, vedeva chiaramente  l’inconciliabilità delle due diverse istanze e non sapeva come elaborare la relazione da sottoporre a Cesare – aveva finito per esclamare spazientito: “Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello” (At 26, 24) e, per cavarsi d’impaccio, non aveva trovato niente di meglio da fare che rinviarlo al Re Agrippa, mentre l’imputato si era dichiarato tutt’altro che pazzo e orientato invece a verità e saggezza (At 26, 25). Agrippa dal canto suo, ascoltate le parti, si spinge a sostenere rivolto a Festo: “Quest’uomo poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare” (At 26, 31 – 32)[2].

Allora, come poteva spiegarsi la presunta “pazzia” di Paolo? Che cosa gli era successo in un particolare momento della sua vita che potesse averla provocata?  Infatti Saulo, nato a Tarso di Cilicia, all’incirca coetaneo di Gesù, fiero di essere “civis romanus” dalla nascita e per questo poi divenuto Paolo, allievo del grande Rabbi Gamaliele, fariseo di stretta osservanza, non aveva mai incontrato personalmente il Figlio di Dio ed era stato un fiero avversario e persecutore dei cristiani[3]. Come poteva non essere considerato “pazzo” dalla gente comune del suo tempo, dopo una conversione così repentina e radicale? Gli era accaduto qualcosa di inaudito e misterioso che, allora come oggi, può essere accettato solo in una prospettiva di Fede: l’INCONTRO DIRETTO COL RISORTO avvenuto sulla via di Damasco, dove egli si stava recando, munito di lettere credenziali del Sinedrio di Gerusalemme da esibire ai capi delle sinagoghe locali, per arrestare e condannare i giudei eterodossi inclini a seguire l’insegnamento di Gesù. In una prospettiva totalmente “laica” l’episodio può effettivamente sembrare paradossale.

Infatti, dopo duemila anni molti saccenti scienziati moderni tendono ancora a condividere l’opinione di Porcio Festo, anche se non propriamente dal punto di vista psichiatrico. Secondo alcuni, il famoso episodio della conversione di Paolo, così come è stato descritto da Luca (At 22, 6 – 16 e 26, 12 – 18) rivelerebbe un grave disturbo neurologico di cui egli avrebbe sofferto. Infatti alcuni sostengono che Paolo era affetto da una forma di epilessia dovuta a una lesione del lobo temporale che, oltre a provocare “impressionanti esperienze estatiche, nelle quali egli credeva di entrare direttamente in contatto con Dio e di ricevere da Lui degli incarichi, lo induceva a una sorta di grafomania, allo scarso interesse per il sesso e a una religiosità assai accentuata”[4].  E’ incredibile come l’arrogante scienza moderna si arrampichi sugli specchi per denigrare la Fede cristiana e pretenda di trovare sempre una spiegazione scientifica a ciò che non può essere dimostrato con i mezzi di cui essa dispone!

Ho fatto questo lungo preambolo per sottolineare che la presunzione e l’arroganza degli intellettuali moderni non ha nulla da invidiare alla superbia dei loro colleghi dell’antichità, pur manifestandosi in forme diverse. Il pensiero unico dominante moderno, infarcito di relativismo, nichilismo, razionalismo e smania di perseguire il  proprio interesse materiale fino alle estreme conseguenze, respinge tutto ciò che non riesce a spiegare con la ragione e, di conseguenza, non torna utile alla immediata convenienza umana. Per di più, chi cerca di orientare il proprio pensiero e il proprio comportamento verso una mèta che trascenda il puro utilitarismo viene spesso tacciato di irragionevolezza, quando non addirittura di “pazzia” o, peggio ancora, di crudeltà.

Ma questa aspirazione non è altro che il riconoscimento di una legge naturale inscritta indelebilmente nel cuore umano da Dio (o dalla “natura”, se vogliamo fare un discorso che non suoni troppo confessionale ad orecchie laiche) ed ispirata al “principio di non contraddizione” che regola da millenni il pensiero umano e che impedisce di sostenere che A = B dopo che se ne è appena riconosciuta la diversità. Invece gli ordinamenti giuridici moderni, ispirati a un pensiero perverso e illogico (questo sì, veramente “pazzo”), sono capaci, da un lato, di tutelare la vita umana punendo l’omicidio e, dall’altro, di ammettere la liceità dell’aborto e di consentire l’eutanasia. Il pensiero logico crolla di fronte a questo capovolgimento radicale e si traduce in radicale opposizione alla bimillenaria dottrina cattolica, l’unica che si sforzi ancora (nella sua forma più genuina) di contrastare questa tendenza, mentre le chiese protestanti sono già venute abbondantemente a patti col “mondo”. E’ il “Mysterium iniquitatis” che domina il mondo e non contraddice la ragione, pur essendole superiore. Come ogni altro mistero, esso ci sarà rivelato a suo tempo, come ci ricorda il Dies Irae: “Quidquid latet apparebit / Nihil inultum remanebit”.

Di irragionevolezza e di crudeltà mi sento accusare (sia pure in termini garbati) io, cattolica “bambina”, quando mi dichiaro radicalmente contraria alle derive antropologiche moderne che abbiamo tutti sotto gli occhi – e alle quali purtroppo ci si sta abituando – proprio perché contraddicono le premesse filosofiche dalle quali siamo partiti. L’obiezione che mi sento rivolgere più frequentemente è: “Ma il mondo è cambiato!”. Quante volte ho sentito i miei amici, cattolici osservanti, dichiarare: “Io non divorzierei mai, io non abortirei mai, io non avrei cercato mai di procreare con l’inseminazione artificiale, ma non posso impedire – con il mio voto, con la mia parola o con il mio comportamento – di farlo a chi non la pensa come me!”. E’ la resa più rovinosa di chi si professa cattolico al “mondo”. Eppure, a mio debole avviso, il divorzio, il matrimonio tra omosessuali, lo sfascio della famiglia ancora non attentano direttamente alla vita umana e perciò, pur essendo contrari alla Legge di Dio, sono forse solo gli aspetti meno distruttivi della deriva antropologica in cui l’umanità sta precipitando e di cui non riusciamo neppure a immaginare le conseguenze.

Il fondo dell’abisso è stato toccato con l’accettazione giuridica e sociale dell’aborto (che io non esito a definire omicidio premeditato di milioni di bambini in tutto il mondo), con l’eutanasia (ammantata di rispetto ipocrita per la presunta volontà del malato inguaribile e giustificata, altrettanto ipocritamente, quando si sussurra all’orecchio dei parenti ancora indecisi che “tanto viene praticata segretamente in tutti gli ospedali”) e con la procreazione cosiddetta assistita, sia omologa che eterologa che, consentendo di scegliere gli embrioni più sani eliminando  certi “prodotti del concepimento” – ritenuti difettosi perché affetti da anomalie genetiche, come se parlassimo di prodotti industriali mal riusciti – consente anche l’uccisione di decine di esseri umani, invisibili a occhio nudo e perciò non più percepiti come tali.

Qualcuno degli amici che leggeranno queste mie umili parole potrà dire che ripeto cose già dette, perché già altre volte mi sono pronunciata su questo argomento e soprattutto perché esso è già stato trattato, e molto più esaurientemente, da firme molto più autorevoli della mia. Ma io penso che sia dovere di tutti i cristiani sforzarsi  di accogliere docilmente ogni giorno l’immutabile Parola di Dio che hanno ricevuto da duemila anni e ripeterla anche gridandola dai tetti a beneficio di tutti coloro che, non riuscendo ad accoglierla, si lasciano trascinare dalle lusinghe del “mondo”. Ma Il “mondo” è quello che è; lo era al tempo di Gesù, come lo è oggi e il suo Principe è il demonio. E infatti, nella “Preghiera Sacerdotale” che precede la Passione, Gesù non prega per il “mondo”, ma per coloro che sono nel “mondo”, e che il Padre Gli ha dato perché sono Suoi (Gv 17, 6 ss), proprio per salvarli dalle tentazioni perverse del “mondo”.

Il Concilio Vaticano II fu indetto e poi portato a termine da due Pontefici dei quali è stata riconosciuta la santità. Con esso la Chiesa ha inteso prendere essa per prima l’iniziativa di dialogare con il “mondo” per conoscerlo e trattarlo “alla pari”. “Messaggio complicato per la pietà popolare, ma messaggio chiaro alla Chiesa del XXI secolo”, ha scritto Andrea Riccardi[5]. Ma che significa questo “messaggio chiaro”? Che sarà inevitabile l’adeguamento della Chiesa al “mondo”, pena la fine della Chiesa stessa? Che dobbiamo ritenere naturale e conforme allo spirito del tempo il depauperamento dei secolari Ordini religiosi, la rarefazione del clero, la scristianizzazione del popolo di Dio, la diffusione di altre religioni (come l’Islam o il Buddismo), derive post conciliari riconosciute dallo stesso Prof. Riccardi?  Ma non si era accorta la Chiesa che già da più di cento anni il “mondo” aveva diffuso il suo pensiero aberrante e anticristiano? Può la Chiesa di Cristo, istituzione fondata da Dio stesso con lo scopo di portare tutti alla salvezza eterna, pretendere di mettersi alla pari con l’ONU, organizzazione internazionale che cerca, senza riuscirci, di mantenere la pace in un mondo sconvolto dall’odio?

Io credo che solo la “santa pazzia” dei cristiani, o meglio dei cattolici sostenuti dallo Spirito Santo, solo la “spes contra spem” – la stessa che animò Abramo, che “ebbe fede sperando contro ogni speranza” (Rm 4, 18) – può salvarci. E allora io, cattolica “bambina” voglio essere pazza, irragionevole, fuori del coro e prego perché Dio mi mantenga sempre tale.

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[1] Cfr. “Millestrade”, mensile di informazione della Diocesi Suburbicaria di Albano, Giugno 2019,

[2] Si assiste poi a un dialogo vivace tra Paolo e il re Agrippa con un risvolto umoristico. Infatti alla fine il re afferma: “Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano” (At 26, 28 – 29). Paolo sperava di toccargli il cuore, ma ad Agrippa mancava il genuino desiderio di cercare Dio accogliendone la Parola e cambiando vita, vale a dire la retta disposizione morale che consente la “metànoia”, quindi, non sapendo come confutare le parole di Paolo, se la cava con una battuta di spirito.

[3] Paolo aveva approvato la lapidazione del cristiano Stefano, non partecipandovi direttamente, ma diventandone comunque complice perché si era assunto il compito di custodire i mantelli degli aguzzini per facilitarli nel “lavoro” del lancio delle pietre contro quello che più tardi la Chiesa avrebbe venerato come il “protomartire” del Cristianesimo (At 7, 58).

[4] Cfr. Luigi Garofalo, “S. Paolo. Esule e martire per volontà imperiale”. Corriere della Sera, 1°.8.2019

[5] Corriere della Sera, 8.8.2019, pag. 24.

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2 commenti su “La “Santa pazzia” dei cristiani”

  1. Gaetano Fratangelo

    Siamo in un periodo di rovesciamento dell’ordine costituito e dei comportamenti sia in politica (disobbedienza alle norme) che nella Chiesa (disobbedienza alla dottrina).
    Quando si arriva a combattere per la difesa dell’ovvio, il pazzo è diventato chi lo difende.
    Nel corso dei secoli culture più “forti” hanno sostituito altre per affermare loro valori ritenuti superiori. Ora c’è solo la denigrazione dei valori cristiani e la contropartita sono solo disvalori e globalizzazione del relativismo.
    Come “valore” unificante viene imposta una nuova coscienza morale vuota e materialistica.

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