La vocazione di Pietro. Un’adesione libera e spontanea a un invito straordinario  

Exi a me, quia homo peccator sum, Domine” (Lc 5, 8)

“Noli timere; ex hoc iam homines eris capiens. Et subductis ad terram navibus, relictis omnibus, secuti sunt illum” (Lc 5, 10 – 11).

 

 

La recente scomparsa di Franco Zeffirelli mi ha indotto a rivedere il DVD del suo film televisivo “Gesù di Nazareth” del 1977 che mi era piaciuto molto, come era piaciuto a tutti i cattolici “bambini” come me, nonostante i critici italiani più saccenti e smaliziati lo avessero, a suo tempo, giudicato “oleografico” e “da santino”.

Ricordo che mi aveva colpito molto la scena in cui il regista aveva voluto rappresentare la “Vocazione di Pietro” e rivederla, dopo tanti anni, ha confermato la mia ammirazione per questo regista che non è mai stato considerato profeta in patria perché, forse a causa della sua professata fede cattolica, non si era mai messo al servizio del pensiero dominante, come invece aveva fatto il suo celebre maestro Luchino Visconti. La scena cui mi riferisco arricchisce un po’ il racconto evangelico, in omaggio giustificato alle leggi dello spettacolo, perché mostra un certo pescatore di nome Simone il quale, appena tornato con la sua barca da un’uscita di pesca notturna sul lago di Genezaret, è furibondo e deluso per non aver preso neppure un pesce. E allora egli se la prende con tutti, col destino, con la precarietà della sua condizione e soprattutto con l’ “agenzia delle entrate” di Roma che, come forza di occupazione del suo paese, pretende il pagamento delle imposte, anche se il povero contribuente non ha potuto lavorare e quindi non ha guadagnato nulla. Gesù lo osserva dalla riva con uno sguardo pieno di solidarietà e di simpatia per quell’umanissimo sfogo. Chi, di noi, non avrebbe reagito come Simone dopo una nottata di faticoso lavoro inutile?

A questo punto il film si riallaccia al racconto evangelico: Gesù invita Simone – che nel frattempo, non potendo più fare altro, aveva cominciato a lavare le reti – a tornare sulla barca e a prendere di nuovo il largo per un altro tentativo. Simone, esperto nel suo mestiere, espone le sue ragionevoli obiezioni, dato che ha lavorato infruttuosamente per tutta la notte, ma nel contempo, qualcosa nello sguardo e nelle parole di quello sconosciuto Praeceptor – come S. Girolamo nella sua Vulgata traduce il termine “epistastès” usato da Luca – lo induce a fidarsi di Lui e a obbedirGli: “Maestro, ho lavorato tutta la notte senza prendere neppure un pesce, ma sulla tua parola getterò le reti”. Forse Simone ha riconosciuto in quell’Uomo Colui che poco tempo prima era stato ospite in casa sua e aveva guarito dalla febbre la madre di sua moglie? (Lc 4, 38). Che cosa avrà pensato allora il povero pescatore? L’evangelista non lo dice e non lo dice il film, ma resta il fatto che egli obbedisce all’invito.

L’episodio della chiamata dei discepoli, che aderiscono senza esitare all’invito di Gesù a seguirLo abbandonando famiglia, lavoro e interessi[1], è riportato da tutti e tre i Vangeli sinottici, sia pure con qualche piccola differenza. In Matteo (4, 22 – 24) e in Marco (1, 16 – 20), gli apostoli sono spinti a seguire uno sconosciuto; in Luca (5, 1 – 11), invece, sembra che essi abbiano già conosciuto Gesù. Comunque la scena del film è commovente perché gli sceneggiatori e il regista – al di là del fatto che fossero, o meno, persone di fede – introducendo di loro iniziativa la delusione di Simone per l’insuccesso di quella notte (di cui peraltro gli evangelisti non parlano) sono perfettamente riusciti a  farci capire come Gesù, all’inizio del Suo ministero in Galilea, abbia cercato i suoi collaboratori, non già tra i personaggi ricchi e i potenti, ma tra la gente umile e di semplici costumi, abituata al lavoro, alla fatica e alla lotta quotidiana per la sopravvivenza. Tuttavia ciò non costituì certo per quegli uomini umili un ostacolo all’adesione libera e spontanea a quell’invito straordinario di cui non potevano certo immaginare le conseguenze. L’evangelista Luca, il cui racconto è più lungo e particolareggiato, sembra aver fuso il racconto di Marco con la tradizione della “pesca miracolosa” che, più tardi, sarebbe stata raccolta da Giovanni (21, 1 – 11) e concentra la sua attenzione sulla sola figura di Simone, uomo disponibile e generoso, al quale Gesù inizialmente aveva chiesto il permesso di salire sulla sua barca ormeggiata a riva per poter parlare alla folla. Poi, per ricambiare la cortesia, Egli si rivolge in tono autorevole sia a lui che agli altri pescatori: “Prendi il largo e calate e vostre reti per la pesca”.

Simone inizialmente non vorrebbe farlo perché è stanco e demoralizzato per aver lavorato inutilmente tutta la notte, ma capisce subito che deve fidarsi e obbedire alla strana ingiunzione di quell’altrettanto strano “epistatès”[2]. La Fede lo ha già raggiunto: “Sulla tua parola getterò le reti”. Prenderà tanti pesci che le reti rischieranno di strapparsi e lui dovrà chiedere l’aiuto dei suoi colleghi dell’altra barca, che viene anch’essa riempita, perché la sua si è rivelata troppo piccola.

“Al veder questo”, Simone, che così ha fatto diretta esperienza dell’azione di Dio, capisce che una pesca così abbondante non è dovuta alla fortuna o al caso, ma alla Parola di quell’Uomo. Allora lui, che non è un superficiale né un ingrato, comprende che qualcosa è avvenuto in lui e si getta ai piedi di Gesù: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”.

Io penso che questo brano, pur nella stringatezza stilistica dell’Evangelista, sia ricchissimo di significato sul quale noi cristiani dobbiamo riflettere. Anzitutto perché a questo punto Luca chiama per la prima volta il pescatore con il nome di Simon Pietro: cioè non solo Simone, semplice pescatore, ma anche Pietro, colui che diventerà guida e capo della Chiesa.  Poi, perché l’umile lavoratore che si prostra ai piedi di Gesù chiamandoLo Signore e invitandoLo ad allontanarsi da lui che è un peccatore, sarà la pietra su cu cui Gesù fonderà la Sua Chiesa[3].

Pietro, illuminato da Gesù, vede chiaramente tutta la miseria e la fragilità del suo essere, ma non si sente umiliato perché capisce di avere incontrato il perdono e la salvezza. Quando l’uomo fa l’esperienza del Trascendente avverte stupore misto a spavento e Pietro non è l’unico fra i suoi compagni, perché trasmette anche a loro questa esperienza: “grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone” (Lc 5, 9).

La risposta di Gesù è insieme un incoraggiamento e una promessa: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. E’ un incoraggiamento, perché Pietro aveva manifestato sorpresa e timore; è una promessa, perché Gesù gli assegna un compito delicato e difficile: quello di attirare gli uomini a Dio, non per farli morire come fa il pescatore con i pesci, ma per offrire a tutti il perdono e la salvezza[4].

Dichiara Pietro: “Sono un peccatore”. Risponde Gesù: “Sarai pescatore”. Confesso che inizialmente l’affermazione e la risposta mi sembravano contraddittorie; poi ho capito che solo chi riconosce i propri limiti e i propri difetti può entrare in vera comunicazione con gli altri, evitando così di sentirsi superiore, di giudicare e di condannare. Pietro è il primo dei discepoli a riconoscersi peccatore e il primo ad essere chiamato al servizio apostolico al fianco di Gesù. Sembra una contraddizione, ma in realtà solo la grazia di Dio tocca i cuori e li muove alla conversione, non la volontà, la forza e l’intelligenza dell’uomo.

E cosa fanno gli altri pescatori? “Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”. Assistendo al dialogo tra Pietro e Gesù è accaduto qualcosa di sconvolgente anche per loro: la loro precedente vita è finita, ora ne comincia una nuova per la quale vale veramente la pena di “lasciare tutto” ciò che ricorda loro la prima. Essi credevano di essere pescatori, ma in realtà è stato Gesù a pescare loro, catturandoli con la Sua Parola.

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[1] In particolare non dimentichiamo che Simone non si trovava in una situazione disagiata. Aveva un lavoro, una casa, una famiglia. Eppure l’incontro con Gesù segna un cambiamento decisivo nella sua vita.

[2] Cioè “Colui che sta sopra”, il “Sovrastante”, il “Superiore”, colui che conduce e guida, qualcosa di più di un semplice insegnante. E’ da notare che Luca non usa mai il termine Rabbi, bensì “epistatès”, con riferimento agli apostoli e “didàskalos”, con riferimento ai coloro che non sono discepoli.

[3] Anche il centurione aveva detto a Gesù qualcosa di simile: “Signore non sono degno che tu entri sotto il mio tetto” (Mt 8,8), Infatti la Chiesa prescrive che si ripetano queste parole all’atto di ricevere l’Eucaristia e il gesto di Pietro che si prostra davanti a Gesù ci insegna che la Fede non è un fatto privato, come si vuole far credere oggi, ma l’adorazione a Dio può e deve essere manifestata pubblicamente.

[4] La lingua greca usata dall’Evangelista è, in questo caso, particolarmente sfaccettata. Infatti Luca non usa il termine “halièus” (pescatore), ma l’espressione “zogròn”, participio presente del verbo “zogrèo” (catturare da vivo) quindi, metaforicamente, anche “colui che cattura”, quindi “pescatore di uomini” sì, ma non per uccidere, per far vivere invece coloro che sono stati catturati e salvarli. Chiedo scusa per l’imperfetta traslitterazione agli amici che mi leggono.

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