Memorie di un’epoca – Da Pio XI a Pio XII: così la Chiesa condannò il comunismo

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Ai numerosi articoli di Luciano Garibaldi dedicati alla figura e alla missione di Sua Santità Pio XII (di cui è in corso il processo di beatificazione), si aggiunge questo: è la risposta di Luciano Garibaldi a una lettrice di «Storia in Rete» che chiedeva di sapere se Papa Pacelli fosse stato veramente il primo e l’unico Pontefice a pronunciare una condanna irrevocabile dell’ideologia comunista.

 

 

Se c’è un grande Pontefice da ricordare, da commemorare e da venerare, questi è Pio XII, Eugenio Pacelli, il Papa che condannò nazismo e comunismo. E, per noi italiani, il Papa che ci evitò di cadere nella voragine del comunismo sovietico, emettendo il decreto di scomunica nei confronti di tutti coloro che avessero votato per il PCI e contribuendo in tal modo alla vittoria decisiva della Democrazia Cristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948. Pochi sanno, però, che le ragioni addotte dal Pontefice per prendere quella storica decisione furono esattamente le stesse per le quali, il 19 marzo 1937, il suo predecessore, Pio XI (al secolo Achille Ratti, 1857-1939, già arcivescovo di Milano e Pontefice dal 1922), aveva pubblicato l’enciclica «Divini Redemptoris».

Quel documento esordiva affermando, in linea di principio, che il comunismo, presentandosi agli uomini sotto l’allettante forma di “rivoluzione”, rappresentava il più subdolo attacco alla civiltà cristiana. “In particolare”, scriveva Pio XI, “il comunismo bolscevico e ateo mira a capovolgere i fondamenti della civiltà”. Come? Sostenendo che l’uomo altro non è che “una forma della materia che si evolve”, sicché all’uomo-individuo non è riconosciuto alcun diritto naturale. Da questa premessa scaturiscono i dettami di fondo dell’ideologia comunista: la negazione del diritto alla proprietà privata, alla libertà religiosa, al matrimonio indissolubile (in quanto la famiglia è considerata una istituzione artificiale), alla educazione dei figli, che appartengono alla collettività e alla cui formazione, dunque, deve provvedere lo Stato, anzi il Partito. Per raggiungere i suoi scopi – scriveva il Papa nella prima parte dell’enciclica – il comunismo è costretto ad esercitare la violenza più totale e a distruggere con ogni mezzo, fin dalle sue basi, la civiltà e la religione cristiane.

In proposito, Pio XI elencava minuziosamente gli orrori compiuti dai comunisti in Russia, in Messico e in Spagna, eventi che oggi sono pane quotidiano persino per gli ex comunisti redenti, ma per affermare i quali occorrevano, all’epoca, coraggio, lungimiranza e grande dirittura morale. Come infatti il Pontefice denunciava, sempre in quella famosa enciclica, a causa della scarsa conoscenza della vera natura del comunismo, “molti sono sedotti dalle sue abbaglianti promesse di migliorare la sorte delle classi lavoratrici”, colpa anche di una sorta di congiura del silenzio di una gran parte della stampa mondiale non cattolica, che taceva sugli orrori commessi dai comunisti “grazie a decisioni prese da forze occulte che ritengono di potere accordarsi con il comunismo per i loro fini di dominio economico del mondo intero” (perfetta descrizione del mondo capitalista che si è perpetuata fino ai nostri giorni).

Al comunismo, Pio XI oppone la dottrina sociale della Chiesa, già magistralmente illustrata da Papa Leone XIII nella enciclica “Rerum novarum” e da lui stesso, Pio XI, nella “Quadragesimo anno”. Due documenti fondamentali nei quali si fondono doveri, diritti e “pietas”. Ogni persona ha “diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza, all’associazione, alla proprietà e all’uso della proprietà”. Basterebbero queste parole per fare da guida ad ogni Stato correttamente organizzato e gestito. Ma quel grande Pontefice va oltre. E ammonisce che “i mezzi per salvare il mondo dalla triste rovina nella quale il liberalismo amorale ci ha piombati non consistono nella lotta di classe, nel terrore, e meno che mai nell’abuso del potere statale, ma nel sentimento di amore cristiano e in un ordine economico e sociale in cui i diritti dei singoli siano riconosciuti secondo giustizia”.

La storia dei secoli passati, in particolare la storia della Chiesa, ci può aiutare a capire e ad abbracciare questi principii. Non a caso – ricorda Pio XI – fu il Cristianesimo a rivendicare per primo la dignità dell’uomo, predicando l’abolizione della schiavitù. In conclusione, la “Divini Redemptoris” elenca i rimedi per opporsi efficacemente al comunismo, anzi, alle illusioni e agli inganni del comunismo, e indica per primo “la carità e la giustizia praticate sia dai datori di lavoro sia dai lavoratori”. Per concludere con un appello a tutti gli uomini di buona volontà, anche se non sono cattolici e non sono cristiani, affinché lealmente concorrano ad impedire la propaganda atea e violenta, affinché non diano pretesti ai comunisti “amministrando la cosa pubblica in modo prudente e sobrio”, affinché aiutino “i poveri e i disoccupati”. Con una esortazione finale rivolta “a quegli stessi nostri figli che sono già intaccati dal male comunista, affinché abbandonino la via sdrucciolevole che travolge tutti in una immensa, catastrofica rovina, e riconoscano che l’unico salvatore è Gesù”.

Particolare da non sottovalutare: cinque giorni prima, il 14 marzo di quel 1937, Pio XI aveva pubblicato l’enciclica dal titolo “Mit brennender Sorge”, di condanna definitiva e totale dell’ideologia nazista.

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