O la Tradizione, o il nulla – editoriale di “Radicati nella Fede” – gennaio 2019

Editoriale di “Radicati nella fede” – Anno XII n. 1 – Gennaio 2019

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Non c’è alternativa alla Tradizione.

Sì, è proprio così, nella Chiesa Cattolica non si dà altra possibilità che quella di vivere il Cristianesimo nella sua forma tradizionale. L’alternativa? è l’autodistruzione della Chiesa stessa.

Guardate cosa è accaduto in questi decenni: l’autorità della Chiesa si è messa alla ricerca di una nuova interpretazione del Cattolicesimo che si adattasse al mutamento dei tempi; e lo ha fatto eliminando gli elementi transitori, secondari a detta di molti, gli elementi derivati da una certa situazione storica, dicendo di voler conservare solo i pilastri fondamentali… e facendo così il Cattolicesimo romano è di fatto svanito.

A furia di dire “questo è essenziale, questo no”, la Chiesa cattolica ha cambiato volto, per poi confondersi con qualsiasi congregazione protestante e scomparire nell’indifferenza generale.

Proprio perché la fede creduta e vissuta ti è consegnata da altri, dalla Chiesa che c’è prima di te; proprio perché la fede è un dono di Dio ma dentro questa consegna di altri che la fede l’hanno vissuta, l’hanno praticata prima di te; proprio per questo l’operazione essenziale/secondario è pericolosissima e in ultimo ingannevole e falsa.

La fede non è una tua elucubrazione personale, il Cattolicesimo è un fatto comunicato da una presenza cattolica prima di te, che ti abbraccia e alla quale tu decidi di appartenere e che a tua volta, se sarai stato fedele, consegnerai ad altri. Per questo un fatto dato, una vita data, una storia che ti raggiunge, la si segue ripetendola con fedeltà anche nei suoi gesti più piccoli ed esteriori, pena il perdere la comunicazione del fatto stesso.

Ad esempio come distinguere nettamente la fede nella presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia dalle genuflessioni? Certo che le genuflessioni sono un fatto esterno, un’espressione di usi storici contingenti derivati da una certa cultura, un’espressione secondaria, ma toglietele o diminuitele e vedrete che la fede nella presenza eucaristica muterà in sostanza, come è mutata di fatto nel cattolicesimo di oggi. Allora, si può davvero distinguere essenziale da secondario? E se fosse il secondario a portare l’essenziale? E nei secoli è proprio salvando il secondario che il Cattolicesimo romano ha salvato il deposito della fede!

Potremmo al riguardo estendere il ragionamento a mille aspetti della vita della Chiesa, Papa-Vescovi-Sacramenti-Disciplina-Vita dei fedeli, e la conclusione non cambierebbe. Lo sa bene ogni buon padre e madre, che se vuole salvare la santità della sua famiglia e della vita dei figli, deve custodire con rigorosa precisione la compostezza dignitosa della conduzione della sua casa: ogni cedimento sulle piccole regole ha conseguenze devastanti.

All’inizio di un anno nuovo dobbiamo dunque implorare la grazia di essere fedeli al secondario, che secondario poi non è, per salvare la fede, la fede cattolica.

Fedeli al “secondario essenziale”, cioè ai gesti che la Chiesa compie con semplice fedeltà, là dove emerge per noi la presenza della Chiesa che non ha buttato il secondario sfigurando il suo volto.

Fedeli al centro di messa tradizionale che ci è dato, fedeli alla vita concreta che sgorga come dono in questo luogo, secondo i gesti puliti della Tradizione: Messa quotidiana, Messa cantata la domenica, la Dottrina per i grandi prima e per i piccoli poi, l’amore al canto liturgico, la preghiera personale e la regolarità nei sacramenti, la lettura e lo studio del tesoro cristiano, la carità vicendevole capace di tenerezza e di responsabile severità.

Tutto qui, fedeli a quello che la Chiesa ha sempre fatto, senza stancarsi, e nella forma con cui l’ha fatto, quella forma che cresciuta e purificata nei secoli è la sola ad essere capace di trasmettere in modo vivo la fede e la grazia di sempre.

Se non saremo fedeli nel concreto, una consegna si spezzerà e allora non potremo parlare di Tradizione, perché la Tradizione non è un’idea ma una consegna!

È sempre stato così, in tutti i tempi della Chiesa.

Parlando della difficile epoca delle invasioni barbariche, Christopher Dawson dice dei monaci:

E benché il monachesimo a prima vista sembri poco adatto a resistere alla spietata mania di distruzione in un’epoca di violenza e di guerra, dimostrò di possedere una straordinaria forza di recupero. Su cento monasteri, novantanove potevano essere distrutti e i monaci uccisi o scacciati, e pur tuttavia l’intera tradizione poteva ancora essere ricostruita dall’unico sopravvissuto, e i luoghi devastati potevano essere ripopolati da nuovi contingenti di monaci, i quali avrebbero di nuovo riallacciato le interrotte tradizioni, seguendo la stessa regola, celebrando la stessa liturgia, leggendo gli stessi libri e avendo gli stessi pensieri dei loro predecessori” (Christopher Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, BUR Rizzoli, 1997, pag.86).

Non è forse questa anche la nostra storia? Dentro la barbarie del mondo cristiano che ha abbandonato Cristo, tra i ruderi lasciati dal cattolicesimo liberale sempre più agnostico, ricominciare costantemente a vivere i gesti della fede consegnata, e viverli dentro un luogo dato.

Non ci interessa se non questo, non chiedeteci altro perché questo è l’essenziale, che purtroppo a troppi sembra ancora secondario.

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3 commenti su “O la Tradizione, o il nulla – editoriale di “Radicati nella Fede” – gennaio 2019”

  1. Cesaremaria Glori

    I segni, la gestualità non sono secondari negli atti liturgici perché fanno parte integrante quali elementi dell’atto stesso. Togliere all’atto certi segni, certe gestualità significa spogliarlo del suo decoro come si rendevano ben conto i martiri che pur nelle buie e fetide carceri riuscivano a sacralizzare la povertà dello strumento, fosse esso un pezzetto di pane raffermo, un vecchio e malridotto bicchiere di latta, un pezzo di legno sollevato a simbolo di altare. Lo strumento diventa parte dell’atto quando è accompagnato dalla stessa sacralità che si dedica a strumenti nuovi e preziosi, perché è la volontà pura e sincera del celebrante a dare lustro al vile strumento. Oggi quel che manca è questa volontà, l’intenzione che c’è nel nostro intelletto, in altre parole la fede..

  2. Ricordo con lo stesso sconcerto del momento una visita (con una scolaresca) al Parlamento italiano. Sembrava si dovesse entrare nel Sancta Sanctorum, quando subito all’ingresso avvertirono che a malapena si poteva respirare, tanto era il clima di rispetto che bisognava osservare in quel luogo dove, a dire il vero, non si rispetta la legge fondamentale che è quella di Dio. E come si entra invece in chiesa e come vi si sta prima e durante le funzioni religiose? Con la sciatteria più sfacciata spesso, come se lì non si fosse davanti al Signore del cielo e della terra; e come Lo si riceve nella S.Comunione? Con lo stesso atteggiamento. Frutto dei tempi e dei progressivi aggiornamenti che oltre a impoverire materialmente le chiese togliendo con una furia mai vista balaustre, lampadari, altari, confessionali, inginocchiatoi e via di seguito, hanno impoverito le anime togliendo loro l’ardore per il sacro che parla di Dio.
    Se, giustamente, tradizione è consegnare, ben poco stiamo consegnando alle giovani generazioni: solo rari rimasugli di una fede che, grazie al padrone del mondo, si spegne sempre più.
    Che voglia Iddio potessimo far parte del “piccolo resto” fedele.

  3. Essere fedeli al “Secondario essenziale”: una definizione che può sembrare poco valida, non molto importante, e che invece è , o dovrebbe essere, basilare per la
    SOPRAVVIVENZA DELLA CHIESA ****VERA****.
    La Chiesa voluta da CRISTO.

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