Stati Uniti: i vescovi conservatori segnano dei punti

Mons. Alexander King Sample

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Dall’altra parte dell’Atlantico, l’episcopato non smette di rivivere la contesa tra antichi e moderni, naturalmente in salsa americana. L’ultimo episodio data il 14 marzo 2023, con l’elezione dell’arcivescovo di Portland (Oregon) nel comitato esecutivo della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (USCCB), l’organismo che affianca nel suo governo il capo dell’episcopato.

Un’elezione che fa rabbrividire i prelati più progressisti: mons. Alexander Sample è infatti considerato un conservatore nella linea di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, cioè più vicino all’Evangelium vitae che all’Amoris laetitia…Per alcuni osservatori si tratta di una dimostrazione di forza – piuttosto riuscita – da parte della frangia più conservatrice dell’episcopato che intende dimostrare che il suo peso rimane intatto all’interno dell’USCCB, nonostante le voci discordanti di diversi alti prelati progressisti ampiamente rilanciate sui media.Lo scorso gennaio il cardinale Robert McElroy, arcivescovo di San Diego, alto prelato che non potrebbe essere più bergogliano, ha pubblicato un editoriale su America Magazine, dove difendeva apertamente i luoghi comuni più eterodossi: accesso per i divorziati risposati e omosessuali alla comunione, posto delle donne nella gerarchia ecclesiastica, ecc.

Poche settimane dopo, mons. Thomas Paprocki, vescovo conservatore di Springfield (Illinois), ha attaccato il suo collega alludendo a “opinioni non ortodosse che, non molto tempo fa, sarebbero state professate solo da eretici”.

Una reazione che aveva fatto infuriare il cardinale Blaise Cupich: il liberalissimo arcivescovo di Chicago ha pensato bene di venire in aiuto del suo collega di San Diego, invitando l’episcopato americano a reagire come si deve alle dichiarazioni del vescovo di Springfield.

La risposta dell’USCCB, eleggendo mons. Alexander Sample nel suo comitato esecutivo, suona quindi come un affronto per i vescovi vicini a papa Francesco.

Una battuta d’arresto tanto più amara per l’arcivescovo di Chicago poiché quest’ultimo si è impegnato più di un anno fa a porre rimedio a quelli che definisce “i fallimenti istituzionali della conferenza episcopale”, ovvero: minare l’influenza dei prelati conservatori che non intendono abbandonare la legge naturale, non più di quanto già non facciano sul matrimonio cristiano o sulla tradizionale disciplina di accesso alla comunione sacramentale.

Va ricordato che l’USCCB, strutturato in sedici commissioni, si riunisce due volte l’anno, a novembre e a giugno. Tra queste due riunioni, la conferenza è retta da un comitato amministrativo e da un comitato esecutivo, in cui siedono d’ufficio il presidente della conferenza, il vicepresidente e il segretario.

Inoltre, diversi membri del consiglio di amministrazione vengono eletti nel comitato esecutivo: è il caso di mons. Sample, che ora ha il difficile compito di consigliare il presidente dell’USCCB in tutte le nomine importanti, e nei vari lavori della Conferenza episcopale.

Un modo per l’USCCB di ricordare che oltreoceano i vescovi non si riconoscono realmente nelle priorità dell’inquilino di Santa Marta: la causa dei migranti, il clima o la lotta alla messa tradizionale non possono prevalere sulla lotta per i valori tradizionali come la vita, la famiglia o il matrimonio tra un uomo e una donna.

Ma l’ala conservatrice dell’episcopato non può vantare la vittoria, perché bisogna tener conto di un altro dato: entro il 2025, negli Stati Uniti, saranno chiamati a essere rinnovati ben trentaquattro seggi diocesani. Il pontefice argentino è dunque ben lungi dall’aver perso la partita.

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fonte: Fraternità San Pio X

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