I Padri della Chiesa e gli Angeli della Natività

 

Riguardo alla festa del Natale del Signore Gesù Cristo, i Padri della Chiesa, poggiando sui dati tradizionali, stanno per “mettere in scena” (è il termine che conviene qui) un’epopea angelica centrata sull’evento dell’incarnazione. Ireneo, nel suo Adversus haereses, si pone in contrasto alla concezione gnostica a lui contemporanea, secondo la quale gli angeli erano emanazioni del principio del bene e demiurghi che avevano creato il mondo degli uomini. Il vescovo di Lione sottolinea che gli angeli sono creature spirituali dell’unico Creatore di tutte le cose: “Dio ha creato e prodotto tutte le cose senza aver bisogno di nulla, attraverso il Verbo; per questa creazione non aveva  infatti bisogno dell’aiuto degli angeli, né di una qualche potenza inferiore a sé e ignorante del Padre, né di una qualche caduta o ignoranza, per creare colui che l’avrebbe poi conosciuto. […] fece tutte le cose proprio come le ha volute, donando a tutto una certa armonia e un ordine adatto al principio della creazione, prestando alle cose spirituali una forma spirituale e invisibile, a quelle ultracelesti una natura celeste, agli angeli una natura angelica…” (Adv. Haer. II,2,4). Origene può essere ricordato per la sua distinzione di tutte le creature razionali in tre categorie (angeli, demoni, uomini), a seconda dei loro meriti o colpe, non in base alla natura. Ogni creatura può percorrere in ascesa o in discesa le categorie, in seguito alla propria scelta morale possibile grazie al libero arbitrio: “ogni natura razionale può passare da un ordine all’altro, e giungere, uno per uno, da tutto a tutti, poiché ciascuno in forza del libero arbitrio progredisce e regredisce variamente in relazione ai propri movimenti e impulsi” (De princ. I,6,2). Gli angeli sono così uomini che hanno raggiunto un certo grado di perfezione per il quale il loro corpo è di ordine celeste, tuttavia non di solo spirito, poiché la spiritualità è propria solo di Dio. Gli angeli così svolgono la funzione di aiutare gli uomini a ritrovare la loro condizione originaria di beatitudine. Nel De civitate Dei, Agostino ribadisce che gli angeli sono creature di Dio, e si occupa di definire il momento in cui sono state create, che individua nell’istante in cui Dio crea la luce: “e illuminati dalla luce attraverso cui sono stati creati, sono diventati luce e sono stati chiamati «giorno» per la partecipazione della luce immutabile e di quel giorno che è il Verbo di Dio, per mezzo del quale essi e tutte le cose sono stati creati” (De civ. Dei, XI,9).

Essi perciò, sottolinea Agostino, conoscono la creazione nel Verbo, così come le cose sono create nella loro perfezione, e conoscono le creature per come sono in se stesse, riferendo ogni creatura alla gloria e all’amore di Dio. Gli angeli buoni, che fanno parte, insieme agli uomini, della città di Dio, li aiutano nel loro cammino verso la beatitudine originaria. La loro funzione perciò è soteriologica, ma anche dossologica, perché la loro mansione è soprattutto quella di lodare Dio.

Lo Pseudo-Dionigi è l’autore che, nella sua opera De coelesti hierarchia, sistematizza una gerarchia angelica, mutuandola dalla Sacra Scrittura, suddivisa in tre ordini a partire da quello più vicino a Dio nella somiglianza, purificazione e illuminazione: il primo ordine è formato da troni, serafini e cherubini, il secondo è costituito da potestà, dominazioni e virtù, e infine il terzo è ripartito in principati, arcangeli e angeli. Dio è il vertice di tutto l’ordine cosmico, e si serve della mediazione delle gerarchie per attrarre tutto a sé: ogni gerarchia partecipa dei misteri divini la sottostante, cosicché quest’ultima sia in grado, per quanto le è possibile secondo il proprio grado di perfezione, di elevarsi alla comunione e all’unione con la divinità.

Ancora riferendosi alla Scrittura, lo Pseudo- Dionigi descrive i vari modi in cui gli angeli vi sono presentati, con le loro raffigurazioni prese in prestito dalla natura (fuoco, vento, metalli e pietre preziose, animali), oppure antropomorfe, spiegando che tali rappresentazioni sono simboli utili all’uomo per comprendere tali realtà e il loro operato: “infatti la Scrittura si servì delle sacre finzioni poetiche per dar figura agli intelletti senza figura, avendo considerato le possibilità del nostro intelletto, avendo provveduto alla connaturata elevazione a esso propria, e per esso avendo forgiato le elevatrici Scritture sacre”(De coel. hier., II,1).

A Natale Dio s’incarna per la salvezza dell’umanità, ma anche per venire in aiuto agli angeli preposti all’amministrazione terrena dalla quale sono disimpegnati e di cui non sanno più cosa fare per sbarrare le forze del male. Origene, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo stanno per sviluppare questo tema pessimistico d’un mondo sull’orlo dell’implosione, al momento dell’incarnazione. E se Dio s’incarna, è per venire pure in aiuto dei suoi angeli che sono ridotti all’impotenza (Eusebio di Cesarea, Dem Ev. IV, 10; PG. 22, col. 278d. Origene, Hom. in Lc 12. Giovanni Crisostomo, Hom. in Ep 1, PG. LXII, col. 16). Anche gli angeli della terra accolgono con gioia la venuta del Salvatore. Ma gli angeli del cielo accompagnano anche il Dio che s’incarna e lo servono come il loro Signore. Essi formano presso Gesù un servizio d’assistenza celeste, come  testimonia l’angelo che viene a confortare Gesù nella sua agonia nell’orto degli Olivi in Lc 22, 43. I testi evangelici testimoniano questo servizio dell’incarnazione e lungo tutta la vita di Gesù, gli angeli appaiono come i ministri ed i servitori di Cristo nel compimento della sua opera. Gregorio di Nazianzio chiama gli angeli degli “iniziati” (mustides) dell’incarnazione. Con Origene e Basilio di Cesarea, i Padri parleranno anche d’una annunciazione agli angeli, precedente l’annunciazione fatta a Maria (Origene, Hom. in Lc 12. Gregorio di Nissa, Hom. Asc., PG. XLVI, col. 693°). Così, anche dopo la venuta di Cristo, e contro il parere dei Padri più antichi, che affermavano la fine della mediazione degli angeli, questi stanno per ritrovare un ruolo di messaggeri delle rivelazioni divine, e Dionigi l’Areopagita si compiacerà nel sottolineare questo ruolo. Ma il contenuto del messaggio è cambiato: oramai gli angeli annunciano il mistero di Cristo. E se si vuol render conto più esattamente della tradizione cristiana, bisogna dire che il ruolo di mediazione degli angeli è finito e che essi diventano i ministri dell’unico mediatore che è Cristo. Oramai gli uomini hanno accesso a Dio, tramite Cristo, senza la mediazione degli angeli, ma questi sono ancora degli assistenti di Cristo e degli intercessori degli uomini presso Cristo. Una tale messa in scena può lasciarci sognanti. Nondimeno, questa drammaturgia immaginaria, oltre al fatto che mira a recuperare i dati tradizionali dell’angelologia, svela una verità profonda sull’incontro tra la trascendenza di Dio e la pochezza dell’uomo nell’evento unico dell’incarnazione. Che gli angeli si mettano al servizio dell’umanità di Cristo (da ciò i Padri dedurranno che la natura umana è stata soprelevata al di sopra della natura angelica), non dice prima di tutto la nobiltà dell’uomo, ma l’umiltà di Dio.

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