Il Gran Pasticcio della Giustizia vaticana. E il diktat (mezzo ritirato) sul vaccino

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Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, un amico, grande esperto di cose giuridiche, ci ha inviato questa riflessione su una serie di eventi e decisioni vaticane in questo campo che testimoniano di una situazione di sbandamento e di sfascio, a livello decisionale e di coordinamento. Buona lettura. 

 

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Il gran pasticcio del tribunale Vaticano – SCV: Se Cristo Vedesse…

Sembra esser passato inosservato l’ennesimo colpo di machete al sistema giudiziario vaticano inferto a suon di Motu Proprio dal Supremo Gerarca di questo verde miserikordioso pontifikato che modifica l’assetto strutturale degli uffici giudiziari del Vaticano.

L’8 febbraio scorso, infatti, Bergoglio ha firmato una “Lettera Apostolica sotto forma di Motu Proprio” col quale il Supremo Legislatore, in qualità di “Sovrano” (con buona pace degli zelantissimi cortigiani irenistici estensori del nuovo Annuario Pontificio), ha emanato alcune modifiche “in materia di giustizia”. Che già detto così fa ridere. Ma tant’è.

L’atto – la cui natura elastica e versatile fa già venire l’orticaria ai giuristi – si compone di 3 articoli.

Ma quello che più ci interessa è l’art. 3, rubricato come “Modifiche ed integrazioni alla legge n. CCCLI sull’ordinamento giudiziario”.

In esso, al n. 2 si dispone: «Nella legge n. CCCLI sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, il primo comma dell’articolo 12 è sostituito dal seguente: «1. L’ufficio del promotore di giustizia esercita in autonomia e indipendenza, nei tre gradi di giudizio, le funzioni di pubblico ministero e le altre assegnategli dalla legge.».»

E al n. 3 si legge: «Nella legge n. CCCLI sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, l’articolo 15 è sostituito dal seguente: «1. Nei giudizi di appello le funzioni di pubblico ministero sono esercitate da un magistrato dell’ufficio del promotore di giustizia, designato ai sensi dell’articolo 13, comma 1.»». (neretto nostro)

Ora, per i non addetti ai lavori va detto che l’ufficio del Promotore di Giustizia corrisponde, mutatis mutandis, a quello del Pubblico Ministero dell’ordinamento italiano. Cioè la magistratura inquirente e non giudicante, come ormai tutti ben sappiamo, specialmente dopo le rivelazioni (dei segreti di pulcinella) del caso Palamara.

E la cosa che fa letteralmente accapponare la pelle è che il Papa della miserikordia ha deciso che il magistrato inquisitorio sia il medesimo in tutti e tre i gradi di giudizio (art. 3, n. 1, 1) blindando di fatto l’accusa (che dà vita al processo) al grado iniziale, senza alcuna possibilità di modifica (tanto in difetto quanto in eccesso) nemmeno in cassazione, che non è – lo ricordiamo – un giudizio di merito ma di legittimità.

Immobilizzare il ruolo del Promotore di Giustizia entro margini così cristallizzati identificandolo nei tre gradi di garanzia giudiziaria nello stesso ufficio di fatto fa sì che sia materialmente impossibile (perché è lo steso ordinamento a impedirlo!) compiere alcun passo verso l’accertamento della verità (il più delle volte emergente nelle sue più varie sfaccettature proprio grazie al dinamismo dei gradi di giudizio… e non bisogna essere Carnelutti per dirlo!) ma piuttosto ci si fossilizzi nell’assecondare inevitabili tendenze inquisitorie/accusatorie proprie dell’ufficio stesso che promuove l’accusa.

Ciò significa che quell’accusa per la quale si inizia un processo rimane tale e quale fino alla cassazione. Ci chiediamo che senso abbia, a questo punto, avere tre gradi di giudizio, di cui per l’appunto uno di legittimità. Su cosa dovrebbe giudicare la Cassazione?

Non crediamo, a nostra memoria, che vi sia al mondo un sistema giuridico che rientri in quelli comunemente qualificabili come “stati di diritto” nel quale sia presente un tale abominio logico, prima ancora che giuridico, che sembrerebbe prodromico ad un’unificazione dei tribunali, frutto di un vero e proprio delirio dispotico.

Se poi facciamo il paro con le recenti nomine avvenute negli uffici giudiziari del Vaticano, sembra di trovarsi in uno stato poliziesco, visto che come presidente del tribunale, successore di quell’equilibrato e fine canonista ed ecclesiasticista che fu Giuseppe Dalla Torre (scomparso lo scorso dicembre), siede oggi Giuseppe Pignatone, già Procuratore della Repubblica di Roma, sicuramente qualificato magistrato protagonista degli affairs di “Roma Capitale” ma non certo vergine ai commenti sferzanti del Buscetta della magistratura italiana, Luca Palamara. Affidare la presidenza del Tribunale di uno “stato-mezzo”, qual è il Vaticano, a uno che nella vita, di fatto, ha fatto il cacciatore di colpevoli è un grave indice di necrosi sclerotizzante del sistema ma anche un pessimo segnale squalificante per quella realtà da sempre nota per la sua scrupolosa prudenza in ogni scelta istituzionale.

A tal proposito va segnalato che quanto abbiamo notato prima non manchi di avere un inevitabile ripercussione anche sulle nuovissime nomine compiute dal miserikordioso gerarca nell’ambito dello stesso Tribunale vaticano.

Lo scorso 5 febbraio, infatti, si rendeva noto che il Santo Padre aveva nominato due giudici della Corte di Appello (presieduta dall’irremovibile, chiacchieratissimo e tirannico Decano della Rota mons. Pio Vito Pinto) nelle persone di mons. Francesco Viscome, calabrese e giudice rotale, e Massimo Massella Ducci Teri, avvocato generale dello Stato in Italia.

Insieme a loro, però, veniva nominata anche una donna, Catia Summaria, Sostituto procuratore della Corte d’Appello di Roma e già Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, chiamata ad assumere il ruolo di Promotore di Giustizia della Corte di Appello vaticana, sostituendo il dimissionario prof. Raffaele Coppola.

Già Faro di Roma, in un pungente quanto azzeccato commento glossava la notizia con idonee considerazioni circa l’inopportunità di chiamare nei ranghi dell’ordinamento giudiziario vaticano due laici provenienti dalla magistratura inquirente e senza alcuna conoscenza né del diritto canonico né tantomeno dell’ordinamento vaticano e senza alcuna esperienza in ambito ecclesiasticistico, quando invece, nel passato, si è sempre pescato tra le fila accademiche o al massimo tra esponenti della magistratura amministrativa o alti funzionari legati all’ambito della giustizia italiana, e mai tra i “magistrati d’assalto”. Ma è evidente che la prudenza non aleggia più tra le sacre mura…

Adesso, però, la cosa divertente (per noi), imbarazzante (per chi probabilmente gliel’ha dovuto far presente), mortificante (per chi l’ha subita), indegna (per chi si sente Solone del diritto d’uno Stato che, probabilmente a buona ragione, e profeticamente, il card. Tardini apostrofava come “ridicolo”) è che la dott.ssa Summaria – la cui nomina è stata salutata con prevedibili laudes bergoliane per l’altissima considerazione che il Papa avrebbe del ruolo delle donne nella Chiesa – pur essendo stata nominata prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, si trova oggettivamente nella impossibilità di assumere l’ufficio a cui è stata chiamata perché… perché è stato soppresso!! Ma come si fa – ci chiediamo sbigottiti – a nominare una persona in un ufficio il 5 di febbraio, e ad appena 3 giorni di distanza firmare un documento che sopprime quello stesso ufficio, rendendolo noto, poi, otto giorni dopo? Cosa dovrebbe fare adesso la Summaria? Tornare a casa a godersi la pensione? O fare la “vice” di qualcuno?

Anche perché il MP si conclude con la disposizione finale: «Alla data di entrata in vigore del presente provvedimento e per effetto delle disposizioni che precedono, i magistrati già nominati ai sensi dei previgenti articoli 15 e 20 della legge n. CCCLI sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, sono integrati nell’organico dell’ufficio del promotore di giustizia.»

A parte il fatto che le tempistiche cronologiche ci fanno presumere che, in corner, abbiano voluto “metterci una pezza”… ma ci chiediamo perché mai un magistrato nominato “Promotore di Giustizia della Corte di Appello” debba esser messo nella sgradevole situazione di non poter assumere, di fatto, l’ufficio specifico per il quale è nominato ma trovarsi a fare altro (forse).

A ciò si aggiunga una considerazione: cosa ci stanno a fare i tre gradi di giudizio, dunque tre tribunali (ordinario, appello, cassazione) se tutto sarà in mano – si parva licet componere magnis – alla “procura” vaticana? Siamo al Palamara due?

Ma tutto ciò accade – parafrasando Guareschi – in quella parte del mondo dove accadono cose che non accadono in nessun’altra parte…

E mentre in Vaticano, con provvedimento a firma del presidente del Governatorato, card. Bertello, prima si minaccia il licenziamento a chi non si vaccina (cose che nemmeno nella Cina comunista!), salvo poi ritrattare (con una nota senza firma divulgata in tarda serata) mitigando il tenore sanzionatorio della disposizione (peraltro alquanto ridicola se si considera che la quasi totalità dei dipendenti del Governatorato sono cittadini italiani, e se si considera che il Vaticano non è il Monte Athos ma sta dentro Roma), abbiamo sempre più, quotidianamente, spiacevole contezza di quanto sia l’irrazionalità, l’abuso, il dispotismo, l’avventatezza, l’autocrazia, l’arbitrio a reggere quel luogo ameno che in realtà esiste solo per affermare e proteggere la Verità di Cristo e non per giocare con le istituzioni come nel paese dei balocchi.

Suoniamo anche noi, come il Marchese del Grillo, le campane di tutta a Roma a morto, perché la Giustizia muore ogni giorno, soffocata da una sciagurata sudamericanizzazione dell’ultimo baluardo dell’Occidente che è il Colle Vaticano.

Siamo convinti, però, che presto o tardi una risata li seppellirà, perché si sa: quanno se scherza, bisogna esse seri.

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fonte: Stilum Curiae

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