“Il Prato alto” di Emilio e Maria Antonietta Biagini – recensione

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Ho  terminato in questi ultimi giorni la lettura dell’ultimo libro dei coniugi Emilio e Maria Antonietta Biagini dal titolo “Il Prato alto”, edito da Solfanelli, che i due autori hanno voluto dedicare all’Austria. Il libro, che è un romanzo storico, era stato segnalato dal sito web Controrivoluzione con una breve indicazione del contenuto. Erano bastate quelle poche righe di presentazione a suscitare in me la voglia di approfondire il contenuto di quel libro che, partendo dall’era preistorica, è destinato in tre volumi a giungere sino ai giorni nostri. Il primo volume, dal titolo Il Prato alto (in lingua tedesca Wiesenberg), comincia dal 7500 avanti Cristo ed il primo capitolo, che arriva sino al 50 d. Ch. tratta degli eventi che giungono sino all’avvento del diffondersi del Cristianesimo. Questo capitolo illustra le peripezie di una famiglia che, costituitasi in epoca preistorica, si afferma nel periodo in cui la civiltà romana trasforma  quelle popolazioni di ceppo celtico, ancora primitive, in fedeli e convinte sostenitrici della civiltà romana. La zona in cui si svolge l’esistenza di quella famiglia e delle sue diramazioni è quella compresa tra i  fiumi Inn (l’Aenus romano), il Danubio e la Drava. I nomi  delle località romane citate richiamano alla mente l’espansione dell’impero romano nella sua parte settentrionale che dal versante alpino digrada verso le valli del Reno e del Danubio: Ovilava (Wels), Lentia (Linz), Virunum ( Mariasaal), Cetium ( Sankt Pőlten), Juvavum (Salisburgo), Lauriacum (Lorch), Valdidena (Innsbruck), Pons Aeni (Rosenheim). Quella parte dell’impero romano era denominata Noricum Ripense destinata a divenire nel corso di pochi secoli, il ducato Osterichi, cioè l’Austria, il ducato del Sacro Romano Impero che verrà cancellato nel 1919 al termine di quella guerra che darà inizio allo scompaginamento della carta geografica del mondo intero e a tutte le tragedie che da essa sono seguite.

I due autori fanno rivivere il succedersi delle generazioni della famiglia Aiken/Adler che era stanziata nel Traunviertel, quell’odierno distretto austriaco che confina a nord con la Baviera e con la Cechia. Quella famiglia nascerà col nome di Aiken, che si trasformerà poi in Adler (Aquila in italiano) e giungerà, al termine del libro, dopo innumerevoli peripezie, al primo quarto del secolo tredicesimo, allorché Enrico VII di Hohenstaufen brigava contro il padre, il grande Federico II di Svevia, imperatore e re di Sicilia.

La vicenda della famiglia Aiken/Adler continuerà nel secondo dei previsti tre tomi, il quale si presenterà col titolo di Tempesta e giungerà sino al 1683. Seguirà il terzo volume che terminerà ai giorni nostri col titolo beneaugurante di Speranza.

Il primo volume è veramente affascinante e si legge d’un fiato. Particolarmente pungenti sono i raffronti che gli autori fanno alle vicende dei nostri giorni, specialmente quando si riferiscono all’attuale crisi della Chiesa Cattolica e alla denatalità che colpisce l’intero Occidente. La denatalità attuale viene paragonata a quella che determinò la caduta dell’Impero Romano, la quale non fu affatto determinata  dai barbari i quali, semmai, evitarono che  la civiltà romana scomparisse del tutto.

Ciò che più colpisce il lettore è la visione che gli autori hanno sulla caducità dell’esistenza dell’uomo come dimostrano queste righe: “Ma è mai esistita la felicità su questa terra, se ci troviamo a rimpiangere il bene che è nostro e allo stesso tempo non lo è, nella certezza di doverlo perdere? Se la coppia più felice e meglio assortita è destinata a sciogliersi? Tutto ci è dato in prestito e non possiamo chiamare nostro nulla, neppure il corpo nel quale è imprigionata l’anima”.

Gli autori nel descrivere le vicende dei numerosi personaggi del romanzo storico mettono in risalto che l’Uomo si esalta e merita il ricordo soltanto se la sua vita è rivolta verso e con gli altri e non ripiegata sull’egoismo proprio.

Trattando della natalità e del rispetto della dignità umana gli autori mettono in evidenza che il successo delle armi romane  fra le popolazioni barbare dell’Europa fu dovuto anche al progresso umano e sociale che esse portarono fra le genti conquistate: La tutela della vita era maggiore nella Roma pagana e in Grecia di quanto non lo sia oggi. Il giuramento di Ippocrate conteneva una formula contro l’aborto, che il digrignante neopaganesimo odierno, peggiore del vecchio paganesimo, ha abolito. Il diritto romano aveva elaborato il civilissimo principio “conceptus pro nato habeto” ( il concepito sia considerato come già nato).

Gli autori descrivono il miglioramento della vita di tutte le popolazioni che furono assorbite dalla conquista romana. Anche i membri della famiglia Aiken/Adler parteciparono all’espansione dell’Impero come legionari delle truppe romane. Alcuni di loro furono anche in Palestina e parteciparono a quegli eventi che determinarono il mutamento dell’esistenza umana. Quell’Uomo mite di nome Gesù ingiustamente e vigliaccamente condannato da Pilato aveva colpito i rudi legionari romani, pur rotti a tutte le atrocità della guerra. La sua mitezza, la sua bontà, il suo totale altruismo aveva colpito le menti di quei soldati. Tornati alle loro case sparse nell’orbe dominato da Roma ne diffusero la notizia favorendo così l’approccio ai futuri missionari del verbo cristiano.

Le citazioni di personaggi noti e meno noti del mondo cristiano nascente nell’ambito dell’impero sono numerose. Si cita, oltre a Pietro il primo papa, il siriano Papa Aniceto che visse al tempo di Marco Aurelio; si cita inoltre il prete Venantius , cioè  Venanzio Fortunato , nativo di Valdobbiadene, località veneta  celebre per il suo Prosecco e autore del celebre inno pasquale Vexilla regis prodeunt. Gli autori si divertono inoltre a dare nomi a personaggi romani i cui nomi hanno assonanze con personaggi italiani moderni ben noti come Titus Veltronius, Publius Rutellius e Maximus Dalemius.

Nel ricordare la denatalità che colpì l’intero Impero Romano, a cominciare da Roma, gli autori  fanno notare che anche nel Norico c’erano troppe famiglie con due figli o con un figlio unico. Era il periodo di Caracalla che aveva dato la cittadinanza romana a tutti i soggetti liberi dell’Impero. Ma a che cosa serviva questa concessione nel totale impoverimento di nascite, mentre sempre più numerosi gruppi di barbari si stanziavano all’interno dell’Impero?

Non mancano acute riflessioni sulla diffusione della religione mitraica, parificata alla odierna Massoneria. L’adesione a quel culto viene assimilata all’ingresso in una loggia, giacché esso poteva valere una agevolazione nell’ascensione a cariche amministrative o di grado militare. Uno spazio più ampio è dedicato alla narrazione del martirio del milite romano Floriano, nativo del Norico, la cui figura verrà ricordata non soltanto nella futura Austria ma anche nella vicina Baviera e in tutto il Triveneto italiano e nella Svizzera.

Alla battaglia fra Costantino e Massenzio, che segnò il rovesciamento della situazione per tutta la cristianità, c’erano anche dei membri della famiglia Aiken/Adler che potranno ricordare l’evento nella loro terra una volta tornati a casa.

Quando gli autori accenneranno alla fugace meteora di Giuliano l’apostata non potranno fare a meno di paragonare la tolleranza intollerante di quell’imperatore alla ipocrisia dei moderni laicisti che ricalcano con scarsa originalità le orme di quell’imperatore.

Esauritosi per denatalità e per afflosciamento l’esausto Impero Romano, gli autori mettono in risalto un particolare che può far riflettere sulla situazione attuale della moderna Europa ove, in certe località,  gli immigrati sopravanzano per numero i nativi. Ecco le loro considerazioni: “Non pochi romani e romanizzati erano rimasti, soprattutto nelle zone di confine dell’Austria Superiore e del Salisburghese. I germani presero a chiamare questi residui Walchen o Welschen, così come i sassoni in Britannia chiamavano Welshmen i celti Cymri ( o gallesi). I latini poveri tendevano ad adattarsi e, in qualche modo, si intendevano con i nuovi venuti che parlavano dialetti germanici tutti abbastanza simili e comprensibili. Gli “honestiores”,   relativamente più ricchi e importanti, mugugnavano sperando che l’Impero d’Oriente riprendesse il controllo della provincia. Ma avevano ben poche prospettive che le loro speranze si realizzassero.  La decadenza dell’Impero aveva portato anche un forte declino della popolazione. Il bosco e la foresta si erano impadroniti delle abbandonate coltivazioni, mentre i nuovi coloni germanici (bavari) cominciavano a disboscare per erigere le loro fattorie”.

La scomparsa definitiva dell’Impero romano non significò però la scomparsa della romana civiltà. La Chiesa di Roma sopperiva in qualche modo al mantenimento di quella cultura attraverso i numerosi monasteri e con le numerose cappelle destinate a divenire col tempo vere e proprie chiese ove la lingua latina continuava ad  essere parlata, più o meno bene, assieme alle lingue locali. La civiltà romana sopravvisse grazie a questi barbari che si sarebbero presto civilizzati ridando energia alla civiltà romana. Con Carlomagno l’intera Europa riprese slancio e allargò la sua estensione verso l’Europa orientale. Il periodo buio delle invasioni dei popoli asiatici era terminato. Ora l’Europa poteva guardare al futuro con maggiore serenità. Il medioevo europeo stava lentamente ma decisamente dando vita ad un’epoca di grande civiltà, sicuramente un periodo in cui la moralità e il benessere materiale e spirituale erano in sintonia. Quella civiltà trovò la sua materiale memoria a Siena ove il pittore Ambrogio Lorenzetti illustrò con l’allegoria del bene e del male come doveva essere una autentica civiltà che inseguisse il Bene Comune. Il primo volume della saga della famiglia Aiken/Daler termina con la poesia di un trovatore emerso dal seno di uno di questi nuovi popoli che avevano dato vita alla nuova civiltà che troverà poi il suo apice nei secoli dodicesimo e tredicesimo. Quel poeta era Walther von der Vogelweide, forse il più celebre dei minnesaenger germanici. Alcuni lo vogliono essere nativo di Laion (Laien in tedesco), piccola località della Valgardena ma forse, come lasciano intendere gli autori, nativo di quel Waldviertel  che è la zona in cui si è svolta la vicenda della famiglia Aiken/Adler. Le ultime pagine del libro contengono tre odi del trovatore Walther, tre canti d’amore come il celebre Under den linden, ode che gli autori fanno dedicare dal poeta ad Oda, una giovane ragazza della stirpe degli Aiken/Adler.

Ci auguriamo che gli autori diano presto alle stampe i due volumi che seguono, ultimando la saga della famiglia Aiken/Adler, le cui vicende si intrecciano non soltanto con l’Austria e la sua storia ma anche con l’Italia e soprattutto con la Chiesa Cattolica.

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