La (grande) Storia nei (piccoli) Canti popolari/II

 

Signor lo Re a j’ha bin dije…

 

Canzone nr. 136: Il testamento del marchese di Saluzzo (1528)

 

Sor capitani de Salusse l’ha tanta mal ch’a murirà.

Mandà ciamé sor capitani, manda ciamé li sò soldà;

Quand ch’a l’avran montà la vardia òh ch’a l’andèisso ’mpò a vedé.

Ij sò soldà j’han fàit rëspòsta ch’a l’han l’arvista da passé.

Quand ch’a l’avran passà l’arvista, sor capitani andrìo vedé.

“Còsa comand-lo, capitani, còsa comand-lo ai sò soldà?”

“V’aricomand la vita mia che dij quatr part në debie fà.

L’é d’una part mandela an Fransa e d’una part sul Monferà.

Mandé la testa a la mia mama ch’as aricòrda de sò prim fieul.

Mandé ’l corin a Margarita ch’as aricòrda dël sò amor.”

La Margarita an su la pòrta l’é cascà ’n tèra de dolor.

 

[raccolta a Leynì, Torino, da una contadina]

 

Varianti significative:

v.1 a l’ha tan’ mal ch’a veul murì, Valfenera (Asti), Sale-Castelnuovo Canavese

v.2  J’ha mandà dir a li sòi soldati, òh ch’a l’andèisso ampò a véder, Valfenera (Asti)

v.3  ch’a’l lo andèisso ’mpòch a véder, Torino

v.4 ch’l’avìo la guardia da monté, Torino

v.5 Quand ch’a l’avèisso montà la guardia, Torino

      sor capitani, a l’é da noi pòvri soldà, Valfenera (Asti)

     andarìo vedé, Sale Castelnuovo Canavese

v.6 “Bondì, cerea, sor capitani, còsa comand-lo mai da noi”, Torino

v.7 Còsa comanda, sor capitani, da noi àutri ofissié?, Sale-Castelnuovo Canavese

v.8 Una part mandela an Fransa, una part a Racunis [e una part a me pais], Sale-Castelnuovo Canavese

v.9 Mandé la testa a la mia mama, ch’a se ricòrda dij sòi dolor, Valfenera (Asti)

v.10 ch’a se ricòrda ’d sò prim amor, Torino

        E s’a j’é mòrt sor capitani, s’a l’é mòrt e soteré, Valfenera (Asti)

v.11 l’é cascà mòrta, alia lectio Leynì

       La Margarita an su la pòrta, an tèra mòrta a l’é tombé, Valfenera (Asti), Sale-Castelnuovo Canavese (tombà)

 

Signor capitano di Saluzzo ha tanto male che morirà./ Manda a chiamare, il signor capitano, manda a chiamare i suoi soldati;/ Quando avranno montato la guardia che lo vadano a vedere./ I suoi soldati gli hanno risposto che hanno la rivista da passare./ Quando avranno passato la rivista, il signor capitano andrebbero a vedere./ “Cosa comanda, capitano, cosa comanda ai suoi soldati?”/ “Vi raccomando la mia vita (corpo), che in quattro parti la dovete fare./ Una parte mandatela in Francia ed un’altra parte nel Monferrato./ Mandate la testa alla mia mamma che si ricordi del suo primo figlio./ Mandate il cuoricino a Margherita che si ricordi del suo amore”./ La Margherita sulla porta è caduta in terra per il dolore.

 

Testo

La collocazione del testo nella storia ha una data certa: il 1528, anno della morte del marchese Michele Antonio di Saluzzo (cfr. infra). Come già notato per un’altra canzone (L’assedio di Verrua) il testo, nella redazione che ci è pervenuta[1], ben difficilmente è coevo all’avvenimento narrato, benché esso sia nato – come già detto – certamente subito dopo tale fatto. In poche parole: la redazione che noi leggiamo non è certamente del 1528, ma possiamo ben ipotizzare, sulla base di alcuni arcaismi lessicali e morfologici, che essa risalga quanto meno agli inizi del secolo XVIII, se non alla conclusione del precedente[2].

La prima osservazione sul testo è che esso è stato raccolto in quattro versioni, tra di loro non identiche ma neppure troppo diverse (cfr. supra l’apparato al testo), in quattro diverse località tra loro non lontanissime ma neppure molto vicine, e per di più nessuna di esse appartenente al territorio dell’antico Marchesato di Saluzzo, cosa che appare abbastanza inusuale, visto che dovrebbe essere almeno probabile che in quelle terre persistesse un qualche ricordo del personaggio.

Il Nigra, inoltre, accenna ad una versione monferrina edita dal Ferraro, una veneta (pubblicata da Widter-Wolf) ed una emiliana di Pontelagoscuro, pubblicata anch’essa dal Ferraro[3]; ovviamente in tutt’e tre queste ultime il nome del capitano è storpiato: “della Salute” (testo veneto), “delle Milizie” (testo monferrino), “Beve-l’acqua” (testo emiliano). Queste storpiature onomastiche anticipano quella che in seguito sarà la più famosa: “il capitan della compagnia” (cfr. infra).

Il metro è una serie di doppi novenari piani-tronchi, assonanzati nell’emistichio (metà verso) tronco.

 

de Salusse: forma arcaica (de) della preposizione semplice, in forma moderna ëd.

veul murì (redaz. Valfenera/Sale Castelnuovo): forma in uso un tempo per indicare il tempo futuro: “morirà”.

vedé: arcaismo per vëdde, evidentemente per necessità di rima, partendo dalla forma arcaica véder.

véder (Valfenera/Torino): forma arcaica, ancora in uso oggi in alcune zone periferiche della regione cfr. supra.

j’han fàit: forma sintattica arcaica con prolessi del pronome personale (j’han, “gli hanno”) in luogo della forma attuale col pronome enclitico al verbo: l’han faje.

ofissié (Sale Castelnuovo): francesismo di uso arcaico, per il moderno ufissiaj, dovuto anche a motivi di rima.

debie: forma antica per il moderno deve (“dovete”).

tombé/tombà (Valfenera/Sale Castelnuovo): forma arcaica (o locale) per casché: La forma participiale arcaica tombé (anche per motivi di rima) in alternanza con l’uso più moderno tombà.

 

Personaggio

La figura dominante nella canzone, escludendo i soldati, che costituiscono una sorta di “coro”, quasi nel solco della tradizione del teatro tragico greco, è il Marchese di Saluzzo, cioè Michele Antonio Lodovico del Vasto, morto nel 1528 a Napoli, dopo essere stato gravemente ferito durante l’assedio di Aversa, nel corso della guerra tra francesi e spagnoli. Raccontano le cronache che, sentendo vicina la fine, il Marchese fece chiamare i suoi più fidati compagni d’arme per dettare loro le sue ultime volontà[4]. È evidente che questo episodio fu poi trasformato dalla fantasia popolare nella richiesta di avere accanto a sé i “suoi soldati” e nelle indicazioni testamentarie relative esclusivamente al trasferimento del suo corpo.

Figlio primogenito del Marchese Lodovico II e di Margherita di Foix, nato nel 1495, fu alla morte del padre (1504) suo successore alla guida del Marchesato sotto la reggenza della madre. Seguendo la politica filo-francese del padre, fu nominato dal re di Francia Luigi XII governatore d’Asti (1507); nel 1509 partecipò alla battaglia della Ghiara d’Adda contro i veneziani, proseguendo le sua campagne militari anche negli anni seguenti. Morto Luigi XII, combatté nella campagna d’Italia del 1515 con Francesco I, comandando un’ala dell’avanguardia francese nella battaglia di Melegnano. Terminata la guerra, ritornò in Francia (dove già era vissuto da ragazzo) per tornare in Italia allo scoppiare nuovamente della guerra; fu nominato quindi comandante di tutta l’avanguardia dell’esercito francese, oltre che luogotenente generale del re di Francia in Italia, partecipando infine alla battaglia di Pavia (1525) che segnò, con la sconfitta e la prigionia di Francesco I, la fine momentanea delle ambizioni francesi sull’Italia settentrionale. Nel 1526 tuttavia Francesco I, tornato libero, riprese la guerra, alleandosi con Venezia, Milano e Firenze, e affidando nuovamente al Marchese di Saluzzo un esercito di circa 6.000 uomini col quale, e con gli alleati, recuperò parte del Milanese. L’anno successivo occupò Bologna e Firenze, tentando invano di impedire la presa e il sacco di Roma. Infine, nel 1528, i Francesi si volsero contro il regno di Napoli e il Marchese, col generale francese Lautrech e Orazio Baglione, iniziò la campagna assediando Napoli, ma, a causa anche di una pestilenza che provocò la morte del comandante in capo, il Lautrech, le truppe francesi furono affidate al Marchese, nominato dal re suo luogotenente per il regno di Napoli. Viste le difficoltà dell’impresa, egli si ritirò ad Aversa, dove fu assediato e dove, quando ormai la caduta della città era cosa certa, fu ferito gravemente ad un ginocchio da un pezzo di pietra rotta da una cannonata. Presa dagli imperiali anche Capua, in cui i francesi speravano di ritirarsi in caso di caduta di Aversa, fu presa dal Marchese la decisione di negoziare la resa della città, che fu ceduta a discrezione del vincitore. Da Aversa il Marchese fu trasportato quindi a Napoli, accolto da Alfonso d’Avalos ed ospitato in un palazzo patrizio, dove morì il 18 di ottobre. Il suo corpo fu tumulato prima a Napoli e, alcuni anni dopo, trasportato a Roma, dove fu seppellito nella chiesa dell’Aracoeli per essere infine tumulato, secondo la volontà del defunto, nella chiesa di San Bernardino a Saluzzo.

Nel suo testamento, non avendo figli legittimi[5], escluse dalla successione l’erede legittimo, cioè il fratello Giovanni Lodovico, in favore del fratello terzogenito Francesco e, dopo di lui, il quartogenito Gabriele.

Le due donne citate nelle ultime volontà sono la madre, cioè Margherita di Foix (1473-1536) che, dopo la morte di Michele Antonio, resse il Marchesato, da dove fu costretta all’esilio in Francia, dove poi morì, per le incomprensioni con i figli, mentre il Marchesato stava per perdere la propria indipendenza in favore della Francia e poi dei Savoia, ed un’altra – non meglio nota – Margherita[6], ma il nome non è certo, che potrebbe essere la madre della sua unica figlia.

 

Vicenda

La vicenda che ha come protagonista il Marchese è quella relativa ai suoi ultimi istanti di vita ed alla sua morte. Non solo, ma l’occasione della morte permette di mettere in campo un momento ed un aspetto molto presente nella cultura popolare, cioè quello del “testamento”, che troviamo (e non solo in Piemonte) utilizzato, con intendimenti comico-satirici, in molti componimenti carnascialeschi, in cui appunto si riportano e si leggono pubblicamente, in genere il martedì grasso, durante gli ultimi momenti della festa, le ultime volontà di un qualche animale (il tacchino o il cane o l’asino…) o di un qualche personaggio tipico, a seconda delle tradizioni locali, della festa di Carnevale (la vecchia, la strega, il moro…). In questa canzone il tono non è certamente divertente o leggero o ironico, ma seriamente tragico, in quanto la figura di cui si ricordano le ultime volontà è un personaggio storico ed anche, in questo caso, di una discreta fama ed importanza.

In ossequio ad una tradizione feudale e militaresca, gli esecutori testamentari del Marchese sono i suoi soldati che, invitati ad andare a visitare per l’ultima volta il loro signore e comandante morente in terra straniera[7], ne ascoltano anche le disposizioni da mettere in atto post mortem. Esse si riducono in sostanza ad una sola: fare quattro parti del corpo del signore[8], delle quali una dovrà andare in Francia e un’altra in Monferrato[9], mentre la testa dovrà essere recapitata (come ricordo, ancorché macabro[10]) alla madre ed infine il cuore alla donna amata.

 

Storia successiva della canzone

Si è già accennato supra al fatto che questa canzone sarà ripresa ed adattata, in italiano, come canto militare degli alpini durante la I guerra mondiale (Il capitan della compagnia o Il testamento del Capitano).

.

[1] Anche questa canzone fu dal Nigra pubblicata in un primo tempo nel 1858 su la “Rivista contemporanea” di Torino.

[2] Se ipotizziamo, infatti, la durata della vita media tra i secoli XVII e XIX intorno anche solamente ai 50 anni, tra l’anno 1700 e il 1858 passano tra le tre e le quattro generazioni, sufficienti perché, ad esempio, una bisnonna abbia potuto trasmettere oralmente alla propria figlia e questa alla propria e quest’ultima alla propria il testo di una canzone senza l’inserimento di troppe modernizzazioni lessicali e morfologiche.

[3] G. Ferraro, Canti popolari monferrini; Torino 1877 e Canti popolari piemontesi ed emiliani; a cura di R. Leydi e F. Castelli (post. 1977); G. Widter-A. Wolf, Volkslieder aus Venetien; Wien 1864.

[4] Così racconta Delfino Muletti (1755-1808) nelle sue Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo (vol. VI, p. 100); Saluzzo (post.) 1829-1833.

[5] Il Marchese non si sposò, ma ebbe tuttavia una figlia illegittima, della cui madre non si conosce il nome.

[6] Il nome Margherita potrebbe essere una interpolazione dovuta al nome della madre, anch’essa Margherita.

[7] Notiamo anche che, in omaggio ad un tradizionale “senso del dovere” tipico del Piemonte, i soldati andranno a visitare il loro signore solo dopo aver espletato i loro compiti di servizio: fare la guardia e passare la rivista.

[8] Il tema del trasporto di un cadavere e della sua eventuale sepoltura è presente anche in canti popolari dell’appendice meridionale della  penisola balcanica (Albania e Grecia).

[9] Sostituito, nella versione di Sale-Castelnuovo, dalla città di Racconigi, che non si trovava neppure nel Marchesato ma era, già a quel tempo, dominio sabaudo.

[10] Ma a questo proposito cfr. la novella boccacciana di Lisabetta da Messina (Decameron, IV, 5).

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