Ricordiamo Padre Fulgenzio Campello

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… Elargendo conforto, parole sagge, consigli evangelici, mai ha pronunciato (mai!) dichiarazioni contrarie alla dottrina cattolica, alle Scritture sacre, al vecchio Catechismo. Non si è lasciato andare – come hanno fatto e fanno adesso, smarrito ogni freno inibitorio, i reverendissimi – al lassismo, al trasformismo, al suggerimento esplicito di compiere peccati o di sguazzarci dentro senza questioni di coscienza.

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Tra iscarioti e ladroni, consumati attori da altare e femminielli isterici sculettanti, malpensanti e maldicenti, cialtroni e dissacratori, misericordiosi assai vendicativi e maiali in carriera, nella chiesa post-conciliare chi voglia conservare l’integrità della Fede, finisce per subire tante di quelle vessazioni, per passare tanti di quei guai, per portare una croce tanto pesante da diventare martire della fede. E nessuno – o quasi – renderà merito a lui, alla sua resistenza; nessuno si metterà in dialogo con la sua coerenza; nessuno gli aprirà porte e spalancherà braccia. Perché non è profugo, migrante, extracomunitario, ateo, maomettano, invertito, pervertito… Amen.

Padre Fulgenzio Campello, francescano conventuale, ha scelto (sicut multi? sicut pauci?) la via della santità. Nasceva centodieci anni fa, il 4 giugno 1913, in un lenzuolino agreste della provincia di Padova, Busiago di Campo San Martino (avrebbe lasciato quest’esilio il 28 dicembre 1998). Quarto di quelli che saranno otto fratelli, mamma Adelaide e papà Benedetto lo fanno battezzare Tommaso. Diventerà Fulgenzio da frate. Il bene non si dimentica (ipocrita e ingrato chi lo fa, come certi ecclesiastici di oggi) dunque a così lunga distanza temporale esiste ancora una marea di gente che ricorda questo frate buono e coerente, che in sua memoria fa celebrare Messe, che alla sua tomba nel cimitero padovano dell’Arcella recita il Santo Rosario.

Su Padre Fulgenzio ho già pubblicato le presenti righe e altre, perdonerete se mi arrampico sul repetita iuvant. Oggi come allora resto convinto che l’importanza di questo umile, pio, obbediente consacrato non risieda tanto nelle doti straordinarie che pure opuscoli agiografici gli attribuiscono, nell’eccezionalità riferita da testimoni di eventi prodigiosi e da quanti hanno avuto modo di conoscerlo, frequentarlo, ammirarlo. Non si tratta, insomma, di commemorarlo, di ricorrere alla sua intercessione, di pregarlo perché aveva il dono della preveggenza e quello di ottenere dall’alto il compimento degli esorcismi, la realizzazione delle guarigioni.

Il suo carisma, scuserete l’estremismo della sincerità, sta maggiormente nell’essere sopravvissuto al clima di totale sbaraccamento, travisamento, stravaccamento religioso successivo agli Anni Sessanta. Convivente ma non connivente con la sbracatura riformistica, si è salvato indossando con fierezza e al tempo stesso con semplicità il saio, mantenendosi scrupoloso nella devozione e nelle pratiche buone, trascorrendo ore, pomeriggi, giornate intere nella Basilica di Sant’Antonio ad ascoltare chi aveva bisogno di parlare, a consolare gli afflitti, ad assolvere i penitenti, a imporre le mani, a dispensare benedizioni. Elargendo conforto, parole sagge, consigli evangelici, mai ha pronunciato (mai!) dichiarazioni contrarie alla dottrina cattolica, alle Scritture sacre, al vecchio Catechismo. Non si è lasciato andare – come hanno fatto e fanno adesso, smarrito ogni freno inibitorio, i reverendissimi – al lassismo, al trasformismo, al suggerimento esplicito di compiere peccati o di sguazzarci dentro senza questioni di coscienza. Il bene, nella sua intimità come nell’azione pastorale, non si è confuso con il male.

Ha scritto nel Testamento spirituale: «Voglio partire da questo mondo accompagnato da questa buona Madre, Maria santissima, da san Giuseppe suo sposo e dall’Angelo custode. Ogni respiro, ogni gemito, ogni sguardo e ogni palpito del mio cuore di quel momento voglio che sia un atto di amore al mio Dio e una voce che chiami Maria perché mi stia vicino e mi presenti al suo Figlio Gesù. Qualunque sia l’assalto che in vita o in morte stia per darmi il nemico, ripeterò sempre che credo nel mio Dio, che spero in Lui e che lo amo con tutto il cuore. Ora che i miei giorni stanno per finire voglio viverli come se ogni giorno fosse l’ultimo della mia vita». Si è salvato e ha salvato anime, Padre Fulgenzio.

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