Ricordo di Luis Trenker

 

Forse alcuni appassionati di alpinismo e alcuni cinefili conoscono e possono apprezzare questo personaggio che fu scalatore, scrittore, architetto, regista, sceneggiatore, attore protagonista di film indimenticabili soprattutto per le riprese in alta montagna, e sempre godibili per le vicende narrate. Il tempo trascorso non ha nociuto ai lavori di Luis Trenker (1892-1990), che ci riportano in atmosfere vive, serene, piacevoli, incomparabilmente più sane di quelle proposte dal cinema dei nostri giorni. Chi volesse respirare l’aria schietta, aperta delle vette e nondimeno dei sentimenti, cerchi e riveda le pellicole riassunte nel corso di questa debita rievocazione.

Nato a Ortisei da padre originario del Nord Tirolo e da madre ladina, Trenker militò nell’esercito austroungarico durante la Prima Guerra Mondiale, anche come ufficiale sul fronte italiano. Lasciò la professione di architetto per dedicarsi al cinema. Negli anni Trenta produsse lungometraggi favorevoli sia al regime tedesco che a quello fascista, ma coerentemente con la sua fede cattolica, propendette per Roma piuttosto che per Berlino. Nel dopoguerra si dedicò specialmente ai documentari. La sua passione per la vita semplice e genuina lo portò a contrapporla al mondo artificioso e spesso corrotto del potere, degli affari e delle metropoli.

In Montagne in fiamme (1931) si racconta l’interessante episodio della mina collocata dagli italiani sotto una postazione austriaca sul Col Alto, dominante la valle occupata dal nemico (in questo caso quello che innalza il Tricolore). L’artiglieria ha martellato l’importante avamposto, la sorpresa di un assalto notturno contro di esso è fallita, l’inverno ha incrudito sui combattenti. Il rumore dello scavo nelle viscere della montagna tormenta gli acquartierati sulla cima. Durante l’esplorazione per verificare a che punto sia la preparazione dell’esplosivo nella galleria perforata, l’avventuroso soldato, impersonato dal Trenker, si spinge fino al villaggio del fondovalle e alla casa in cui vivono moglie e figlio. Lì, alloggiano militari italiani e, di nascosto, egli apprende che lo scoppio avverrà tra breve. Tornato alla trincea, fa in tempo a dare l’allarme. Il reparto si mette in salvo dal crollo immane provocato dall’esplosione, nel contempo trovandosi bersagliato dalle cannonate. Nello scontro che segue, gli austriaci riescono a tenere il piccolo caposaldo, con gravi perdite da entrambe le parti.

Il film comincia con una scalata in cui la guida (Trenker) porta in vetta un conte romano, e termina, nel dopoguerra, con un’escursione di entrambi sul Col Alto, a suggello della loro amicizia.

La vicenda, di ritmo sostenuto, è arricchita dai meravigliosi esterni dolomitici abbondantemente innevati e dalle ricostruzioni belliche affatto realistiche.

Nel 1934 si proietta nei cinematografi Il figliol prodigo. Il contadino-boscaiolo Tonio (Trenker), premiato dopo una fantasmagorica gara di sci e festeggiato da un ricco americano, ne conduce la figlia in un’ardua ascensione invernale. La valanga che li colpisce uccide l’amico compagno di cordata. Tonio prova disgusto per la montagna, emigra a New York, pur essendo fidanzato con Barbara, che lo aspetta nel villaggio bavarese. Dopo aver sofferto la fame tra i diseredati dell’aspra città dai grattacieli, l’emigrante ha una certa fortuna nel mondo del pugilato, dove ritrova la bella ereditiera innamorata di lui. Ma la nostalgia riporta l’esule in patria, alla fedele Barbara e alle tradizioni religiose e profane del suo paese.

A distanza di due anni, Trenker torna all’America, questa volta del Far West, dirigendo L’imperatore della California e recitando nella parte di August Sutter. Si tratta di una biografia romanzata. Fuggito nel Nord America perché ricercato dalla polizia per motivi politici, Sutter attraversa il Continente con due compagni, in un viaggio colmo di traversie. Giunto in California alla testa di una carovana di pionieri, ottiene dal Governatore messicano un vasto possedimento. Straordinariamente energico e capace, il pioniere tedesco lo trasforma in un vasto territorio fertile e con grandi allevamenti di bovini e di ovini. Sacramento ne diventa la capitale. La scoperta dell’oro corrompe coltivatori e allevatori, richiama un’invasione di avventurieri senza scrupoli. Il vigore dell’intraprendente colono, non appoggiato dal potere delle autorità, è insufficiente a ristabilire l’ordine e a salvare l’opera portentosa. Dall’Europa, la moglie e i figlioletti hanno raggiunto il padre. Un fuorilegge, che lo derubò e che egli generosamente salvò dalle mani degli indiani durante il passaggio nel Far West, gli uccide i figli. Esemplare la recitazione dell’attrice Viktoria von Ballasko, che veste i panni della sposa e della madre. Sutter, tradito, sopraffatto dai banditi e dalla plebaglia anche dopo l’annessione della California agli Stati Uniti, finisce per morire solo e abbandonato sulla scalea del Campidoglio di Washington.

Nel 1937 il regista altoatesino gira in Italia Condottieri, libera ricostruzione della storia di Giovanni dalle Bande Nere, di cui assume la parte, vigoroso come sempre. Cesare Borgia toglie alla vedova madre di Giovanni il castello e i possedimenti. Il bimbo, discendente dei  Medici, cresce ignoto in campagna. Giovane ardimentoso, si arruola nella truppa del condottiero Malatesta. Si stacca da lui, signorotto dedito al brigantaggio, e forma una propria compagnia disciplinata e forte. Riconquista la Rocca che il duca Valentino prese alla sua famiglia. Si presenta al Consiglio della Repubblica di Firenze, dove si trova il Malatesta che fornisce alla città il sostegno delle sue milizie. Giovanni propone il disegno ideale di un’unione degli Stati italiani, affrancati dalle dominazioni straniere. Incompreso, gli viene negata l’investitura per assolvere il compito patriottico. Non disposto a porsi sotto il comando del Malatesta, lo si accusa di tradimento. Imprigionato, i suoi lo liberano, ma lo stesso Papa l’ha messo al bando, chiedendone la sottomissione e la rinuncia alla propria indipendenza. Esule in Francia, si pone al servizio del capitano Argentière per tornare a Firenze, dove organizza una congiura e prende il potere con le proprie truppe riorganizzate. Marcia su Roma, riceve la benedizione del Pontefice. Ritornato in possesso del castello, Giovanni de’ Medici deve riprendere le armi contro una coalizione di francesi, lanzichenecchi e truppa malatestiana. La sua milizia si batte con onore contro le forze preponderanti. Egli muore in battaglia, ma la sua memoria non perirà, il sepolcro ne serba la testimonianza. È innegabile l’accostamento di Giovanni dalle Bande Nere alle ispirazioni del regime allora vigente nella Penisola.

La grande conquista (1938) è la trenkeriana rievocazione dell’ottocentesca conquista del Monte Cervino. Nel film Antonio Carel, guida alpina di Breuil, alpinista caparbio e orgoglioso, viene denigrato dai compaesani, incapaci di apprezzare il valore della scalata della Becca (il Cervino), al cui raggiungimento egli dedica i suoi anni migliori. Durante uno dei tentativi di superare la difficoltà insormontabile, egli incontra l’alpinista inglese Edward Whymper, che lo convince a fargli da guida, sebbene il valdostano avrebbe desiderato essere il primo e il solo a mettere piede sulla vetta. In seguito a una disputa dovuta alla diffidenza dello straniero, che imputa alla cattiva volontà dell’italiano la rinuncia a proseguire nell’impresa, Whymper intraprende per conto proprio l’ascensione. La caduta dell’incauto, il suo ricupero e trasporto a valle da parte di Carel, generano un’amicizia tra i due e la promessa di ritentare insieme l’ascensione. Essa è stata progettata anche dal neonato Club Alpino Italiano. Il ministro Quintino Sella invita Carel a capeggiare la cordata, ma egli intende mantenere l’impegno assunto. Whymper ha fatto ritorno e propone che l’arrampicata avvenga sul versate di Zermatt, che presenta minori difficoltà rispetto a quello sud-occidentale valdostano. Una trama ordita dal sindaco del villaggio, interessato alla riuscita tutta nazionale, fa guastare l’amicizia dei due campioni, che si ritengono vicendevolmente traditi.

Quando Whymper raggiunge la cima del Cervino con tre compagni e tre guide, Carel è giunto 150 metri sotto di lui con alpinisti italiani della spedizione organizzata dal CAI. Il deluso desiste e rientra a Breuil. Nella discesa degli inglesi, tre di loro e una guida precipitano essendosi strappata la corda. In Svizzera segue un processo in cui Whymper viene accusato d’averla tagliata.

Il generoso Carel si porta sul luogo della sciagura, ricupera la corda e può dimostrare al tribunale l’innocenza di colui che sarà di nuovo un caro amico.

Splendide le immagini del bianco e nero. Il film è vicino alla perfezione sotto ogni aspetto: della recitazione, dei dialoghi, delle sequenze drammatiche, delle caratterizzazioni, della ricostruzione ambientale, della dosata alternanza o incastro degli avvenimenti, e così via.

 

Siamo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. L’impareggiabile nostro personaggio dal multiforme talento, continua la sua produzione artistica col consueto entusiasmo e con l’abituale lievità, che non è sognante, non è incurante, ma dal dramma come dalla commedia della vita estrae la buona vita. Insomma egli possiede appieno la risorsa del credente cattolico, che non ostenta la propria forza e fa a meno dell’orgoglio. Come a tutti, gli capita di adirarsi, ma senza cattiveria e senza che il sole tramonti sopra il suo risentimento.

Lettere d’amore dall’Engadina (1938-39) cattura lo spettatore in un divertente e incalzante seguito di equivoci, di cui, nel finale, si apprende lo scioglimento. Constance, ricca giovane americana, delusa dal fidanzato lord Baxter, londinese dissestato, che la sposerebbe per interesse, parte per una vacanza invernale a S. Florian in Engadina. L’accompagna l’amica Dorothy, sorella di Baxter, il quale conta sul suo appoggio per ricondurre a sé la ragazza. Questa riceve durante il viaggio una lettera d’amore spedita dal maestro di sci (Trenker) della Stazione di sport invernali. Costui, di nome Toni, è un istruttore piuttosto ruvido, soprattutto per mantenere la disciplina nel gruppo delle allieve e per difendersi dalle loro mene intese a sedurlo. Un’allegra vanità gl’impedisce di comprendere il sostanziale motivo delle sue conquiste, che tuttavia lo assillano; mentre il giudice locale lo sospetta di comportamento disonesto verso le turiste, e un marito messicano lo accusa di insidiargli la moglie. Toni si oppone alle profferte della bionda americana, che vorrebbe accaparrarselo come maestro di sci e come guida per l’ascensione al Silberhorn. Dorothy riesce ad attirarlo in un rifugio, fingendosi in pericolo, e lo convince a farsi condurre sulla montagna innevata e coperta di ghiacci. La circostanza rinnova il piacere d’essere immessi nella tecnica e nell’avventura d’una salita, quindi d’una discesa altrettanto. La lady s’innamora del rozzo e cattivante montanaro. Tra le poteste dell’amica Constance, rincarate da quelle delle altre allieve che hanno ricevuto analoghe lettere d’amore, Toni se la cava smascherandone il responsabile: il padrone dell’albergo. Le ha scritte e spedite per assicurarsi il ritorno e la permanenza delle clienti. Lord Baxter viene a riprendersi la sorella e lei lo segue sul treno, col cuore infranto. Con una memorabile discesa sugli sci, Toni raggiunge il convoglio. La ragazza ottiene ch’egli dichiari d’amarla, e tira il freno d’emergenza. Il matrimonio conclude in bellezza la commedia.

Nel 1942 M.W. Kimmich dirige Germanin, in programmazione nelle sale a partire da maggio dell’anno successivo.

In prossimità della Primo Conflitto Mondiale, in Africa la malattia del sonno, portata dalla mosca tse-tse, miete molte vittime. Nella colonia tedesca, il prof. Achembach e la sua assistente conducono esperimenti per produrre il siero destinato a sconfiggere il morbo. Il cacciatore Hofer (impersonato da Luis Trenker), che cattura animali per lo zoo, è costretto a liberarli allo scoppio della guerra. Ferito da una belva, viene curato dal professore. Insieme devono rimpatriare, perché i vincitori inglesi hanno distrutto il laboratorio e bruciato la stazione di ricerca.

A Berlino, Hofer si fa contagiare dalle mosche allevate per gli esperimenti. Il medicamento, chiamato germanin, sperimentato su di lui, lo guarisce senza conseguenze. Allora la Gran Bretagna che, avendo preso possesso della colonia, richiedeva la prova dell’innocuità del germanin, non può opporsi a una nuova spedizione umanitaria in Africa, dove l’epidemia affligge Uganda, Camerun e Congo. Ma, all’arrivo di Achenbach e dei suoi nel 1923, le autorità e i militari inglesi oppongono ostacoli, sobillano i negri superstiziosi contro i tedeschi. Quando poi essi ottengono risultati clamorosi, i colonizzatori distruggono le scorte di siero e le attrezzature onde evitare di perdere l’autorità sulle popolazioni indigene. La malattia contagia sia il professore che il comandante del presidio. Questi ricorre allo scienziato, il quale rinuncia all’unica dose rimasta del farmaco per salvargli la vita in cambio del consenso scritto a proseguire la missione. L’eroico sacrificio di Achenbach permetterà al suo gruppo di portare a termine la benefica impresa.

Impressiona la larghezza dei mezzi e la quantità di uomini e donne africani, impiegati nell’accurata realizzazione del lavoro cinematografico.

Nel 1943 Trenker torna alle care montagne, di nuovo in Val d’Aosta dove gira gli esterni di Monte Miracolo, un film tutto italiano prodotto per la CINES.

L’ingegnere Roberto Rey (Trenker) dirige una miniera sotto il Monte Miracolo e ha progettato la costruzione d’una diga per un bacino idroelettrico che, fornendo l’energia all’industria estrattiva, le consentirebbe un soddisfacente rendimento economico. Fortis, Direttore Generale della fabbrica avente la sede a Roma, accoglie il progetto e ha quasi ottenuto il finanziamento delle Banche. Ma Conti, un suo parente ingegnere e azionista, seguendo una propria mira cerca di far fallire l’operazione. Fortis si libera del parente infido (segretamente indebitato, ma ben visto dalla moglie del Direttore Generale), destinandolo alla miniera perché collabori con Rey. Corrado Conti arriva all’albergo di montagna insieme alla signora Fortis, e lì, stimola la passione di Rey per l’alpinismo, proponendogli un’ascensione invernale con cui raggiungere entrambi la vetta ancora inviolata del Monte Miracolo. In un arduo passaggio sulla parete di ghiaccio, Rey perde l’appiglio e resta appeso alla corda. Il compagno, anziché calarsi e prestargli aiuto, vigliaccamente lo abbandona. Partono i soccorsi, ma si dispera per la salvezza dello sventurato, che non potrà resistere a lungo sospeso e subirà il soffocamento. Lo ritrovano incolume, essendosi lasciato precipitare su una spessa coltre di neve. Intanto la signora Fortis, rimasta vedova, ha avuto modo di vedere come il suo amico Corrado sia doppiamente  spregevole, in quanto ha anche contato sul suo appoggio per ottenere la carica del marito defunto. Affascinata dall’ingegnere montanaro, ella ha trepidato per lui insieme a Maria, la cara ragazza del villaggio che lo ama riamata. Rey prosegue coi suoi due soccorritori conquistando la terribile montagna, e avrà la nomina a Direttore Generale procacciatagli dalla signora, la quale lo lascia nelle braccia della sua Maria.

È difficile trovare pecche nella fattura delle opere di Trenker. In quest’ultima, è straordinaria la caccia alla volpe sugli sci: un protratto inseguimento della volpe Rey su lunghi pendii oltremodo scoscesi e con salti vertiginosi, superati con vere e proprie acrobazie. Belli i canti e il potente commento musicale. La Messa notturna di Natale al villaggio e i costumi festivi impressionano non solo la cittadina signora Fortis, ma edificano coloro che non si sono lasciati corrompere dal gusto di oggigiorno.

Trascorrono alcuni anni prima che nel 1949 Trenker giri Barriera a Settentrione, in cui interpreta il personaggio di Stefano Hassler, proprietario di bottega e guida alpina di contrabbandieri. Costoro hanno ucciso sul confine alcune guardie di Finanza. Un maggiore (Amedeo Nazzari) e un tenente (Gabriele Ferzetti), in borghese si recano nel paese dove si trova il covo dei banditi, che fanno traffico di stupefacenti per conto di un direttore d’albergo in città. I due ufficiali camuffati si spacciano per contrabbandieri di orologi e penetrano negli affari della ghenga. Il capobanda cittadino, che si serve della sua donna come tramite, la raggiunge per richiamarla all’ordine e riesce inviso ad Hassler; ma questi è ormai preso nel giro criminale. Durante la spedizione di contrabbando alla quale partecipa il maggiore, uno della banda rimasto in paese, avendo scoperto la vera identità dei nuovi complici, tenta di raggiungere i suoi per sventare la sorpresa dei militari, avvertiti dal tenente. Questi riesce a condurre per tempo i finanzieri sul luogo della scalata, ma rimane ucciso da un bandito. Il maggiore  è salvo, i fuorilegge vengono sgominati.

Nella fastosa cornice dei gioghi alpini, non mancano un idillio fra il tenente e la giovane figlia di Hassler e gli incontri del maggiore con la bella signora, che riceve la droga e figura trovarsi in soggiorno turistico.

Il prigioniero della montagna (1955) è l’ultimo lungometraggio di cui Trenker è sia regista che interprete nel ruolo del protagonista.

Sulla riva del Lago di Garda, Giovanni Testa, sposato con Teresa (l’attrice Ivonne Sanson) e padre di due bambini (Paoletta e Carlino), costruisce barche in un cantiere di sua proprietà. L’azienda accumula passivo; egli è debitore del ragionier Massari, accusato di usura. Ghezzi, altro soggetto losco e facoltoso, in gioventù amico della moglie di Giovanni, la insidia senza successo con lusinghe e promesse. Il padre di famiglia si reca dal Massari perché, concedendogli un prestito, lo salvi dalla rovina; esce dall’ufficio dopo aver avuto un alterco con l’insolente che gli ha opposto un rifiuto, e che poi viene trovato ferito a morte. L’arma è il coltello caduto all’artigiano fabbricante di imbarcazioni, durante l’avvenuta colluttazione. Le prove contro di lui appaiono schiaccianti ed egli fugge dal paese. L’assassino è Sergio, un giovane entrato dopo Giovanni nell’ufficio del prestatore di denaro. Per sbarazzarsi del marito della donna che vuol fare sua, Ghezzi, che già conosceva Sergio, lo aiuta a rifugiarsi in un lontano cantiere per la costruzione d’una diga. Il piccolo Carlino ha sentito qualcosa della confabulazione fra i due. Anche Giovanni, in cerca d’un lavoro, lo trova come operaio adibito ai lavori intorno al bacino idroelettrico. Tra il lavoratore maturo e il giovane focoso nasce un’amicizia.

Sergio amoreggia con Graziella, attraente e vivace ragazza del villaggio montano. Le loro reciproche incomprensioni sono esasperate dal fatto che il geloso giovanotto ha scoperto la vera identità del suo compagno, confidente della ragazza, alla quale l’uomo ha pure raccontato la sventura in cui è incorso. Sergio ha minacciato di denunciare Giovanni e lei ha rotto con l’innamorato. Il giovane deluso, durante l’ascensione destinata al compimento di rilievi concernenti la diga, è colto da un impulso insano: rifiuta la cordata esponendosi al pericolo di caduta. Precipita e, in punto di morte, confessa a Giovanni, che si è calato per soccorrerlo, il proprio delitto. Ciò non servirebbe a scagionare il ricercato. Tuttavia egli decide di costituirsi. Intanto Carlino ha rinvenuto accidentalmente in casa del vecchio amico di sua madre un biglietto ferroviario che, messo in relazione con quanto ha sentito dire dal Ghezzi a Sergio, prova la colpevolezza di quest’ultimo. I carabinieri, informati dal ragazzino, costringono il favoreggiatore a confessare, e la famigliola si ricompone, povera ma sollevata.

Come in quasi ogni giallo imperniato sull’assassinio con imputato innocente e colpevole in libertà, anche qui la trama presenta alcuni punti deboli. Ma la garbata narrazione e le psicologie ben definite sono persuasive. I bei colori della Ferraniacolor e la chiostra dei picchi d’alta quota, le imponenti strutture della diga di Passo Fedaia, mostrate senza ostentazione documentaristica, contribuiscono all’atmosfera serena. Un’aura  di pace aleggia sui passaggi più drammatici. L’effetto si deve in parte allo stile di quell’epoca, in parte alla vita d’allora, più semplice, specie tra i semplici, e permeata di speranza.

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