18 luglio 1936 – L’Alzamiento Nacional contro l’ateismo e il materialismo

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In calce, il testo del Radiomessaggio che il Venerabile Papa Pio XII indirizzò al popolo e alla nazione spagnola il 16 aprile 1939, per celebrare la vittoria nazionalista e cattolica nella guerra civile.

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87 anni fa, come oggi, in Spagna iniziava l’Alzamiento Nacional: un gruppo di alti ufficiali, tra cui il Generale Francisco Franco, si sollevò contro il governo del Fronte Popolare, che aveva instaurato un feroce clima di persecuzione anti-cristiana.

La Storia ci insegna che in alcune condizioni i cattolici devono sapersi ribellare e, ove necessario, anche impugnare le armi. Altri tempi: cristiani che non temevano il combattimento, e a Roma un Papa cattolico.

Vi proponiamo un’ottima sintesi delle origini dell’Alzamiento Nacional, con questo articolo pubblicato il 18 luglio 2019 da Giovanni Formicola su La Nuova Bussola Quotidiana, mentre di seguito potrete leggere il testo del Radiomessaggio che il Venerabile Papa Pio XII indirizzò al popolo e alla nazione spagnola il 16 aprile 1939, per celebrare la vittoria nazionalista e cattolica nella guerra civile.

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L’Alzamiento, un fatto da ricordare. Ecco perché

Il 18 luglio 1936 un gruppo di alti ufficiali dell’esercito, con in testa Francisco Franco, si sollevò contro il governo del Fronte Popolare. Era una Spagna in cui il clima anticristiano si era fatto rovente e Franco non esitò a parlare di «crociata» contro «l’ateismo e il materialismo». Il fronte comunista reagì con il famigerato Terrore rosso, causando centinaia di martiri. Che la cultura dominante non ricorda.

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di Giovanni Formicola

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Il 18 luglio di 83 anni fa, un gruppo di alti ufficiali dell’esercito si solleva contro il governo del Fronte Popolare. Figura di spicco fra essi, il generale Francisco Franco, che guiderà l’Alzamiento Nacional – come viene detto – alla vittoria e poi la Spagna per quasi quarant’anni.

Fin da subito, Franco intende il suo gesto d’insorgenza contro il potere istituito come obbligato dall’onore militare e dal senso cattolico, e quindi lo vive come crociata in difesa della Fede: «La nostra non è una guerra civile […] ma una crociata […]. Sì, la nostra è una guerra religiosa. Noi combattenti, non importa se cristiani o mussulmani, siamo soldati di Dio e non ci battiamo contro gli uomini ma contro l’ateismo e il materialismo». Il primo a utilizzare il termine “crociata” è il vescovo di Salamanca (poi primate di Spagna) monsignor Enrique Pla y Deniel: «[…] non si tratta di una guerra per questioni dinastiche, né di forma di governo, ma di una Crociata contro il comunismo, per salvare la religione, la patria e la famiglia». La qualifica di Cruzada, poi, viene ratificata nella Lettera Collettiva dei vescovi di Spagna in sostegno all’Alzamiento dell’1 luglio 1937.

Perché l’Alzamiento? In quella Spagna della II Repubblica, il clima rivoluzionario e anticristiano si era fatto via via più rovente. Il 14 ottobre 1931, Manuel Azaña Diaz, davanti all’Assemblea Costituente, prorompe nel grido «España ha dejado de ser católica!» («La Spagna ha smesso di essere cattolica!»). È evidente il carattere programmatico piuttosto che descrittivo del grido, se riferito alla nazione, al «paese reale». Invece, se riferito alla dimensione istituzionale, esso trova sanzione nella nuova Costituzione: il «paese legale» perfeziona la sua apostasia e rinnega la sua eredità e identità cristiane.

Le elezioni del febbraio 1936, vinte dal Fronte Popolare (non senza serie doglianze di brogli e violenze), vengono intese come una sorta di via libera per la Rivoluzione rossa. Nei pochi mesi che vanno dal febbraio al giugno 1936 si contano, per mano dei rossi, 269 uccisi, 1287 feriti, 251 chiese incendiate o profanate, di cui 160 completamente distrutte. Numerosissimi sono gl’imprigionamenti pretestuosi e illegittimi. Lo storico Gabriele Ranzato, dichiaratamente antifascista e antifranchista, non può che constatare «[…] un avanzato sfacelo dello Stato di diritto», che portava addirittura a non eseguire le sentenze di assoluzione dei militanti di destra, che venivano perciò trattenuti in carcere. Egli è costretto a riconoscere che è «[…] discutibile […] perpetuare l’immagine della Spagna della primavera 1936, come quella di un paese di democrazia liberale accettabilmente funzionante, capace di garantire la continuità del suo sistema […] al riparo di qualsiasi pericolo di sovvertimento rivoluzionario, che sarebbe stato trascinato alla guerra civile solo da una sollevazione militare reazionaria e fascista».

L’insorgenza, nella forma del pronunciamiento militare, è giudicata ormai indifferibile, anzi doverosa. Eppure, la letteratura e l’opinione correnti, persino in area cattolica, mentre sono avversi in modo a dir poco aggressivo a Franco, all’Alzamiento e al regime che ne segue, descrivono invece la Repubblica e le varie sinistre spagnole del tempo come un’accolita di generosi idealisti, innocenti e innocui. Eppure il vero e proprio Terrore rosso nelle città in cui l’Alzamiento non riesce subito è ampiamente documentato e noto persino agli storici dilettanti: «Tra luglio e ottobre 1936 fu la grande repressione, il Terrore rosso»[1]. È l’ora delle checas – da CEKA, sigla della polizia politica, subito modello per tutti i comunisti del mondo, istituita da Lenin il 7 dicembre 1917, con lo specifico compito di reprimere con il terrore preventivo nelle sue prigioni, mediante torture e fucilazioni, ogni possibile opposizione al potere bolscevico. Esse sono «carceri improvvisate, dove alle condizioni subumane nelle quali sopravvivono gl’internati si sommano metodi di tortura difficilmente concepibili»[2].

Nella sola Madrid ne vengono censite 345 (una addirittura nella residenza dei padri Maristi), quattro per chilometro quadrato, oltre 23 prigioni ufficiali e dieci commissariati, dove «portavano i “fascisti”, cioè quelle persone che non erano “sinistri”, e le incarceravano, interrogavano, torturavano e assassinavano»[3].

Tra i mezzi di tortura – finalizzati a ottenere confessioni e scoprire spie, sabotatori, etc. (che sin dal tempo del Terrore giacobino la Rivoluzione cerca per giustificare anzitutto a sé stessa i propri fallimenti, e cioè il mancato avvento del paradiso in terra) –, l’enteroclisma di un litro di cemento liquido. Da queste checas, dove, «nel pieno d’un’asfissiante isteria collettiva […] la tortura raggiunge una raffinatezza dal difficile paragone»[4], ogni giorno, i presos vengono deportati in località fuori città per essere fucilati, ovvero tale sorte viene loro riservata all’alba nei cortili di tali stabilimenti.

Perché allora i rossi, né innocenti né innocui, godono di tanta buona fama? Perché godono d’un pregiudizio favorevole in quanto rivoluzionari che intendono dare un’accelerazione all’orologio della storia. Paradigmatico di ciò è il fatto che la conquista illegale del potere da parte di Lenin, il suo golpe, è una «gloriosa Rivoluzione», là dove Rivoluzione è il bene per sé, e perciò è doverosa; mentre l’insorgenza di Franco in quanto reazione, se non proprio Contro-Rivoluzione, è per sé un crimine. Ma quello dell’«orologio della storia», del di essa preteso senso progressista, è un mito tanto falso – è una forma d’impazzimento pensare che domani sia un luogo in cui si trovi la terra promessa, il millennio di pace giustizia e fraternità, il paradiso in terra –, quanto intriso di sangue innocente, perché per raggiungere questo luogo ogni mezzo diventa giusto, nessun sacrificio è eccessivo e va spazzato via ogni preteso ostacolo.

Perché ricordare questa vicenda, le sue cause e il suo significato, ormai roba passata? In Spagna, come in Messico dieci anni prima, l’odio rivoluzionario e comunista nei confronti di Dio fin da subito si traduce in odio implacabile nei confronti della Chiesa e del cristianesimo, percepiti dal comunismo come la perfetta e vera incarnazione della religione e della religiosità umana, per definizione quel che impedisce l’auto-divinizzazione della creatura, che è invece il suo vero e ultimo scopo e movente. E di ciò testimonianza inconfutabile è fornita dal numero dei martiri – se ci sono martiri, vuol dire che ci sono carnefici che uccidono in odium fidei, il martirio è nella causa, non nella pena – già riconosciuti dalla Chiesa e di quelli prossimi al riconoscimento. Fra gli uni e gli altri, oltre duemila. Il 28 ottobre 2007, ne sono stati beatificati a Roma 498. Allora, la più grande beatificazione di massa della storia. Ma il 13 ottobre 2013 il record viene superato: i martiri beatificati in un’unica soluzione sono 522!

La reazione a questa feroce persecuzione ferma l’avanzata comunista nel XX secolo, ritardandone quando non arrestandone l’espansione. E a noi, che siamo oggi a valle della storia criminale del socialismo reale, appare chiaro che cosa hanno risparmiato al loro popolo e forse all’intera Europa occidentale. Dunque, la resistenza anche armata alla Rivoluzione anti-cristiana, per difendere la fede e la possibilità di viverla integralmente nella libertà, merita d’essere ricordata, sia per motivi di pietas storica, cioè per restituire a quegli uomini troppo spesso vilipesi o dimenticati onore e verità, che per la sua valenza esemplare.

L’assalto al Cielo fu da essi fermato. Però oggi, considerando il volto assunto dalla Spagna, sembra essere stato solo rinviato. Eppure la memoria di quei martiri può tenere accesa la speranza, e non solo quella teologale.


[1] Cfr. Madrid era una checa: había cuatro por cada kilómetro cuadradoLa Razón, 31-10-2016, www.larazon.es/cultura/madrid-era-una-checa-habia-cuatro-por-km2-KJ13831478

[2] Álvaro López Fernández y Emilio Peral Vega, Checas de Madrid, o la radiografía macabra de una ciudad bajo el miedo, introduzione a Tomás Borrás (1891-1976), Checas de Madrid, Edición crítica a cura di Idem, Escolar y Mayo Editores, Madrid 2018 (1939), p. 16

[3] Madrid era una checa, cit., dove si legge che «La Direzione Generale di Sicurezza del governo repubblicano lasciò la purga nelle mani dei partiti e dei sindacati del Fronte Popolare», quindi non addebitabile a incontrolados

[4] Checas de Madrid, cit.

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RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI CATTOLICI DI SPAGNA

Domenica, 16 aprile 1939

Con immensa gioia Ci rivolgiamo a voi, figli dilettissimi della Cattolica Spagna, per esprimervi la Nostra paterna felicitazione per il dono della pace e della vittoria con il quale Dio si è degnato di coronare l’eroismo cristiano della vostra fede e carità, provato da tante e così generose sofferenze.

Il Nostro Predecessore di s.m. attendeva con ansia questa pace provvidenziale, frutto senza dubbio di quella feconda Benedizione che fin dai primi tempi del conflitto inviava « a quanti si erano proposti il difficile e pericoloso compito di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e della Religione » (1); e Noi non dubitiamo che questa pace sarà quella da Lui auspicata, « annunziatrice di un avvenire di tranquillità nell’ordine e di onore nella prosperità » (2).

I disegni della Provvidenza, amatissimi figli, si sono manifestati ancora una volta sopra l’eroica Spagna. La Nazione eletta da Dio come principale strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della fede cattolica, ha testé dato ai proseliti dell’ateismo materialista del nostro secolo la più elevata prova che al di sopra di ogni cosa stanno i valori eterni della religione e dello spirito. La propaganda tenace ed i costanti sforzi dei nemici di Gesù Cristo fanno pensare che essi abbiano voluto fare in Spagna una prova suprema delle forze dissolvitrici, a loro disposizione, sparse in tutto il mondo; e benché l’Onnipotente non abbia per ora permesso che essi raggiungessero il loro intento, ha tuttavia tollerato la realizzazione di alcuni terribili effetti, affinché il mondo vedesse come la persecuzione religiosa, minando le basi stesse della giustizia e della carità, che sono l’amore a Dio ed il rispetto alla santa sua legge, può trascinare la società moderna ad insospettati abissi di iniqua distruzione e di appassionata discordia.

Persuaso di questa verità, il sano popolo spagnolo, con quella generosità e franchezza che costituiscono le due caratteristiche del nobilissimo suo spirito, insorse deciso in difesa degli ideali della fede e della civiltà cristiana, profondamente radicati nel suolo fecondo di Spagna; ed aiutato da Dio « che non abbandona quelli che in Lui sperano » (3), seppe resistere all’attacco di coloro che, ingannati da quello che essi credevano un ideale umanitario di elevazione dell’umile, in realtà combattevano in favore dell’ateismo.

Tale precipuo significato della vostra vittoria dà a Noi motivo di concepire le più lusinghiere speranze che, nella sua misericordia, Dio si degnerà di condurre la Spagna per la strada sicura della sua tradizionale e cattolica grandezza, che dovrà essere, per tutti gli spagnoli amanti della loro religione e della loro patria, il punto di orientamento nel vigoroso sforzo di riorganizzare la vita della nazione in perfetta armonia con la sua nobilissima storia di fede, pietà e civiltà cattolica.

Esortiamo pertanto i governanti ed i Pastori della Cattolica Spagna ad illuminare la mente di coloro che sono stati ingannati, additando loro con amore le radici del materialismo e del laicismo, donde hanno avuto origine i loro errori e le loro disgrazie e donde potrebbero nuovamente germogliare. Vogliate inoltre proporre loro i princípi di giustizia individuale e sociale contenuti nel Santo Vangelo e nella dottrina della Chiesa, senza dei quali la pace e la prosperità delle Nazioni, per potenti che siano, non possono sussistere.

Non dubitiamo che ciò avverrà, e di questa Nostra ferma speranza sono garanti i nobilissimi sentimenti cristiani di cui hanno dato sicure prove il Capo dello Stato e tanti suoi fedeli collaboratori con la protezione legale accordata ai supremi interessi religiosi e sociali, in conformità degli insegnamenti della Sede Apostolica. La stessa speranza si fonda inoltre sull’illuminato zelo e sull’abnegazione dei vostri Vescovi e Sacerdoti, passati attraverso il crogiolo del dolore, ed anche sulla fede, pietà e spirito di sacrificio di cui in momenti terribili hanno dato eroica prova tutte le classi della società spagnola.

Ed ora, davanti al ricordo delle rovine accumulate dalla più sanguinosa guerra civile che la storia dei tempi moderni ricordi con animo commosso inchiniamo innanzi tutto la Nostra fronte alla santa memoria dei Vescovi, Sacerdoti, Religiosi di ambo i sessi e fedeli di ogni età e condizione, che in sì gran numero hanno sigillato col sangue la loro fede in Gesù Cristo ed il loro amore alla religione Cattolica: « Maiorem hac dilexione nemo habet ». « Non vi è maggior prova d’amore » (4). Esprimiamo inoltre la Nostra doverosa gratitudine verso quanti hanno saputo sacrificarsi fino all’eroismo in difesa dei diritti inalienabili di Dio e della religione, sia nei campi di battaglia, sia ancora, consacrati alle opere sublimi di carità cristiana, nelle carceri e negli ospedali.

Non possiamo poi nascondere l’acerba pena che Ci procura il ricordo di  tanti innocenti fanciulli, che allontanati dalle loro famiglie sono stati portati in terre straniere con pericolo talvolta di apostasia e pervertimento; né altro più ardentemente desideriamo che di vederli restituiti alle proprie famiglie per tornarvi a godere il caldo e cristiano affetto dei loro cari. Né dubitiamo infine che saranno accolti con benevolenza ed amore tutti quegli altri che, quali figli prodighi, s’accingono a far ritorno alla casa del Padre.

A Voi particolarmente, Venerabili Fratelli nell’Episcopato, spetta di consigliare gli uni e gli altri affinché nella loro politica di pacificazione tutti seguano i princípi inculcati dalla Chiesa, e proclamati con tanta nobilità dal Generalissimo, di giustizia, cioè, per il delitto, ma di generosa benevolenza verso coloro che hanno errato. La nostra paterna sollecitudine non può dimenticare tanti ingannati, che con lusinghe e promesse una propaganda menzognera è riuscita a sedurre. Ad essi in modo speciale dovrà essere rivolta con pazienza e dolcezza la vostra pastorale sollecitudine: pregate per loro, ricercateli, conduceteli nuovamente al seno rigeneratore della Chiesa ed al tenero grembo della patria, e riportateli al Padre misericordioso che li attende con le braccia aperte.

Ora poi, amatissimi figli, che l’arcobaleno della pace è tornato a risplendere nel cielo di Spagna, uniamoci tutti di cuore in un fervido inno di grazie al Dio della pace e in un’invocazione di perdono e misericordia per tutti i caduti; ed affinché questa pace sia feconda e duratura, con tutto il fervore del nostro animo, vi esortiamo « a mantenere l’unione degli spiriti nel vincolo della pace » (5). Così uniti ed ossequienti al vostro venerabile Episcopato, dedicatevi con gioia e senza indugio all’urgente opera di ricostruzione che Dio e la patria da voi attendono.

In pegno delle copiose grazie che vi otterranno la Vergine Immacolata e l’Apostolo San Giacomo Patroni di Spagna, e di quelle che per voi hanno meritato i grandi Santi spagnoli, facciamo discendere su di voi, dilettissimi Nostri figli della Spagna Cattolica, sul capo dello Stato, e sul suo illustre Governo, sullo zelante Episcopato e sul suo Clero così pieno di abnegazione, sugli eroici combattenti e sui fedeli tutti la Nostra Apostolica Benedizione.


(1) Allocuzione ai profughi di Spagna: Acta Apostolicae Sedis, XXVII, 1936, p. 380.

(2) L. c., p. 381.

(3) Judit, XIII, 17.

(4) Io., XV, 13

(5) Ephes, IV, 2-3.

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2 commenti su “18 luglio 1936 – L’Alzamiento Nacional contro l’ateismo e il materialismo”

  1. Azioni esemplari d’altri tempi: quando chi proclamava “Dio Patria Famiglia” onorava le sue promesse e quando v’era un Papa che parlava da Papa. Oggi né vi è più chi resta fedele ai suoi proclami, né chi parli da Papa.

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