Memorie di un’epoca – 2 giugno. Festa (?) della Repubblica – Referendum Monarchia-Repubblica. Dopo 77 anni rimangono molti interrogativi

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Cari amici e lettori, oggi si festeggia la nascita della Repubblica. Vi riproponiamo un articolo di Luciano Garibaldi, già pubblicato lo scorso anno, in cui l’Autore, giornalista e storico di alto livello, e carissimo amico, ci illustra con la consueta chiarezza i motivi per cui i risultati del referendum Monarchia/Repubblica furono tutt’altro che limpidi e sicuri. Palmiro Togliatti, capobanda del Partito Comunista, era all’epoca titolare del Ministero della Giustizia ed esercitò senza alcun pudore pressioni sui magistrati di Cassazione che avrebbero dovuto proclamare il risultato del referendum. Ci furono testimonianze di sacchi di schede elettorali giacenti nelle cantine del Viminale e mai aperti. Ci fu una strana fretta di distruggere le schede dichiarate nulle.

In un clima di generale truffa, l’unico personaggio che mostrò dignità e amor di Patria fu il Re Umberto II che, pur conscio dei brogli, scelse la via dell’esilio per evitare all’Italia una nuova guerra civile. Umberto II, agendo da uomo e da patriota, riportò l’onore su Casa Savoia, disonorata dalla fuga del Re Vittorio Emanuele III dopo l’8 settembre.

E nacque la Repubblica del broglio, dell’ambiguità, del disonore. I risultati li possiamo apprezzare tutt’oggi…

A tutti una buona istruttiva lettura, alla nostra amata Italia l’augurio di poter diventare finalmente un Paese veramente libero e liberato dai troppi  personaggi ambigui che l’hanno intossicata e tuttora la intossicano.

PD

 

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Memorie di un’epoca – Referendum Monarchia-Repubblica. Dopo 77 anni rimangono molti interrogativi

 

La mattina del 2 giugno 1946 gli italiani si recarono alle urne (per la prima volta votavano anche le donne) per eleggere i membri dell’Assemblea costituente e per partecipare al referendum che avrebbe dovuto decidere la forma dello Stato: Monarchia o Repubblica. I seggi rimasero aperti fino al pomeriggio del 3 giugno. Vinse la Repubblica. Ma ancora oggi, a 77 anni di distanza, c’è chi mette in discussione il risultato di quella consultazione. Vediamo dunque di ripercorrere quella importante pagina della storia d’Italia.

 

 

Il principe Umberto di Savoia era divenuto Re d’Italia, con il nome di Umberto II, il 9 maggio di quell’anno, a seguito dell’abdicazione del padre  Re Vittorio Emanuele III, seguita dalla sua partenza per l’esilio ad Alessandria d’Egitto. Nettamente contrari alla monarchia erano il PCI (Partito comunista italiano), il PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria), la CGIL (Confederazione Italiana del Lavoro, il massimo sindacato dei lavoratori), il Partito d’Azione, il PRI (Partito repubblicano italiano). Per la libertà di scelta i liberali e la Democrazia Cristiana. Favorevole al Re solo il piccolo PDI (Partito democratico italiano), le formazioni partigiane monarchiche (tra i loro massimi esponenti, le Medaglie d’oro al valor militare Edgardo Sogno ed Enrico Martini «Mauri»), e – sia pure in modo non dichiarato – le Forze Armate, che si erano battute a fianco degli Alleati per fedeltà al giuramento prestato alla monarchia, e l’Arma dei Carabinieri. Ma non la polizia, largamente infiltrata da elementi ex partigiani comunisti. E non certo i superstiti del fascismo della RSI che, anzi, odiavano a morte il Re e il maresciallo Badoglio. Assolutamente imparziale la Chiesa, che evitò sempre e comunque qualsiasi presa di posizione.

A Roma, i canali d’informazione sui risultati erano due. Uno, proveniente dalle prefetture, faceva capo al ministro dell’Interno, il socialista Giuseppe Romita. L’altro, proveniente dalle 31 circoscrizioni elettorali, confluiva verso il ministero della Giustizia di via Arenula, retto dal capo del Partito comunista Palmiro Togliatti, e da qui alla Suprema Corte di Cassazione, presieduta da Giuseppe Pagano, che aveva il compito di sommare i voti e proclamare il risultato finale. Chiuse le urne, furono dapprima scrutinate le schede per la formazione dell’Assemblea costituente, poi si passò a quelle referendarie.

Alle ore 8 del 4 giugno il ministro dell’Interno Romita redige un primo prospetto dei risultati e lo porta al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Il prospetto riguarda 4000 sezioni su 35.000, tutte localizzate nel Centro Nord, tendenzialmente «repubblicano», e attribuisce alla Repubblica una maggioranza del 65 per cento. Decisamente poco, se si considera che gli italiani del Sud e delle Isole sono nella stragrande maggioranza monarchici. De Gasperi, che personalmente è per la Repubblica, vede nero e quella sera stessa informa il ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, che si profila assai probabilmente la vittoria della Monarchia.

Il mondo politico romano entra in fibrillazione. Massimo Caprara, all’epoca segretario personale di Togliatti, ricorderà, in un articolo pubblicato su «Nuova Storia Contemporanea» n. 6 del 2002, che fu lui stesso a passare a Togliatti la telefonata di un Romita disperato. I risultati continuavano ad affluire al Viminale, questa volta anche dalle prefetture del Sud, e, al momento della telefonata, nel pomeriggio inoltrato del 4 giugno, la Monarchia era ormai al 54 %. Fu a quel punto che Togliatti decise di agire direttamente sui funzionari del suo ministero addetti alle circoscrizioni delegando loro una «autonoma gestione dei voti», da comunicare alla Cassazione «al di fuori di ogni controllo». Se le parole hanno un  senso: fate vincere la Repubblica a tutti i costi. Da un punto di vista storico, la cosa era del tutto logica: i funzionari erano infatti tutti uomini di fiducia del Guardasigilli, e quindi del PCI.

È a questo punto che, nella tarda mattinata del 5 giugno, De Gasperi va al Quirinale e informa personalmente il Re Umberto II, affinché possa regolarsi, che la Repubblica ha vinto. Umberto dispone immediatamente che la Regina Maria José e i figli s’imbarchino per il Portogallo sull’incrociatore «Duca degli Abruzzi», lo stesso che ha trasportato Vittorio Emanuele III, dopo l’abdicazione, ad Alessandria d’Egitto. Senonché, la stampa inizia a diffondere la notizia della probabile vittoria della Monarchia e nel frattempo raccoglie le dichiarazioni polemiche e critiche dei sostenitori di Re Umberto. Da sinistra si risponde per le rime. Pietro Nenni sull’ «Avanti!»: «O la Repubblica o il caos!».

Gli occhi di tutti erano puntati sulla Cassazione, cui toccava il compito di dichiarare ufficialmente chi aveva vinto e chi aveva perso. E fu sul tavolo della Cassazione che tempestivamente, prima del computo finale, l’onorevole Enzo Selvaggi, monarchico del Partito Democratico Italiano, fece recapitare un ricorso nel quale metteva in guardia i giudici: attenti, quello che conta è il numero dei votanti e non quello dei voti validi. Si riferiva, Selvaggi, subito seguìto dall’onorevole Giovanni Cassandro, all’articolo 2 della legge 16 marzo 1946, istitutiva del referendum. L’articolo disponeva che avrebbe vinto la forma istituzionale (Monarchia o Repubblica) che fosse stata indicata «dalla maggioranza dei votanti» e non «dalla maggioranza dei voti validi», principio al quale invece, fino a quel momento, Prefetture e funzionari di via Arenula si erano attenuti per il computo dei voti. Infatti, le rilevazioni erano state fatte soltanto sui voti giudicati validi. Delle schede giudicate non valide (bianche, sporche o dubbie) non era stato fatto neppure il computo. Poche ore dopo, sul tavolo della Cassazione giungeva un secondo ricorso, firmato dalla Medaglia d’Oro della Resistenza Edgardo Sogno, che chiedeva l’invalidazione del referendum essendo stati esclusi dal voto i residenti nella provincia di Bolzano e nella Venezia Giulia.

Fu a questo punto che al primo presidente della Cassazione, Giuseppe Pagano, giunse una lettera di Togliatti che – come noterà Franco Malnati nella sua opera «La grande frode» – forte del suo potere disciplinare sulla magistratura, gli ordinava di limitarsi alla lettura delle cifre dei verbali di ognuna delle 31 circoscrizioni elettorali e alla sommatoria complessiva «omettendo qualsiasi ulteriore pronuncia»: chiara infrazione – nota Malnati – della legge che invece prevedeva, da parte della Cassazione, «la proclamazione del risultato del referendum».

Lunedì 10 giugno. Nella Sala Lupa di Montecitorio, il presidente Pagano comunica i risultati raggiunti: 12.672.767 voti per la Repubblica, 10.688.905 per la Monarchia. Mancano 118 sezioni (che comunque, data la loro esiguità numerica, non modificheranno nulla), ragione per la quale si rinvia la comunicazione definitiva ad una successiva seduta fissata per il giorno 18.

Martedì 11 giugno: gravissimi disordini a Napoli. La polizia apre il fuoco su un corteo monarchico. Nove morti. Disordini anche a Bari e a Taranto. Tutto il Sud, profondamente monarchico, è in subbuglio.

Mercoledì 12 giugno: Consiglio dei ministri in un clima di fortissima tensione. Togliatti, anche in seguito alle migliaia di denunce per brogli che continuano a piovere a cura dell’UMI (Unione Monarchica Italiana), dice testualmente: «Vi sono ricorsi che possono anche richiedere l’esame delle schede che tra l’altro non sono qui e forse sono distrutte» (da Aldo A. Mola: «Storia della monarchia in Italia»). In effetti, «sacchi e pacchi di verbali saranno poi rinvenuti nei luoghi più disparati» (ibidem). Anni fa una giornalista di «Libero» intervistò il padre gesuita Brunetta di San Fedele, il quale confermò le perplessità sulla legittimità dello spoglio e testimoniò che nelle cantine del Viminale egli stesso aveva visto le casse con le schede mai aperte.

Giovedì 13 giugno, ore 0,15: al termine della seduta, De Gasperi, in accordo con tutti i ministri eccettuato Leone Cattani, dichiara di assumere i poteri di Capo provvisorio dello Stato. Umberto II, subito informato, decide di partire in aereo quel giorno stesso, alle ore 15, per l’esilio in Portogallo.

Al momento della partenza per l’esilio, l’ultimo Re d’Italia consegnò alla stampa un “Messaggio agli italiani” nel quale era possibile leggere: «Questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza. Proclamo pertanto lo scioglimento del giuramento di fedeltà al Re, non a quello verso la Patria, di coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove».

Chiunque può commentare queste parole che, ad avviso di chi scrive, restano un esempio storico di grande amore per la propria patria e i suoi figli. Umberto II morì a Ginevra il 24 marzo 1983. Suo padre Vittorio Emanuele III era morto ad Alessandria d’Egitto il 28 dicembre 1947.

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APPENDICE

(a cura della Redazione)

ATTO DI NASCITA DELLA NUOVA ITALIA

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Milano, piazzale Loreto, 29 aprile 1945. In un clima di civiltà, compostezza, profonda umanità, nasce la Nuova Italia. Per festeggiare l’avvenimento, alcun fieri lottatori per la libertà pensarono bene di urinare sui cadaveri prima di appenderli.

Tra le vittime esposte come animali in macelleria c’era anche una donna, Claretta Petacci. La sua “colpa”? Era l’amante del Duce.

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3 commenti su “Memorie di un’epoca – 2 giugno. Festa (?) della Repubblica – Referendum Monarchia-Repubblica. Dopo 77 anni rimangono molti interrogativi”

  1. Michele Sfregola

    Condivido il messaggio agli italiani, e la scelta fatta dall’ultimo Re d’Italia, Umberto II, il 13 giugno 1946. Messaggio di accuse a Togliatti, ministro comunista della Giustizia. Fu scelta di amore il subire la violenza di brogli, per non provocare spargimento di sangue tra favorevoli e contrari alla monarchia.

  2. Fidatevi dei comunisti
    Togliatti su richiesta di Stalin non avrebbe mai permesso la monarchia
    Poi venne la battaglia per l’appartenenza dell’Italia al patto Atlantico e non alla URSS.
    da li tutti i ricatti intrighi e perdita di posti di lavoro provocati dalla CGIL il sindacato comunista
    Perché De Gasperi accettò Togliatti come ministro di Giustizia???
    Che poi si affrettò a dare la sanatoria agli assassini del dopoguerra!!!

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