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Né il Papa né i media hanno denunciato la barbara condanna a morte di sei persone in Libia solo per essersi convertite al cristianesimo.
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La notizia è terribile, fa effetto, eppure non arriva alle prime pagine, è ignorata. Invano tentano di rilanciarla Avvenire, il quotidiano cattolico, e la rivista Tempi, ma nessuno la raccoglie. Misteri dei media.
Si spera solo che i silenzi ufficiali, anche della Chiesa e dello stesso pontefice, coprano un intenso quanto discreto lavoro diplomatico della Segreteria di Stato vaticana, così come della Farnesina per convincere il governo di Tripoli, quantomeno, a commutare la pena. Ma non è detto.
Netto e chiarissimo è sempre stato Yusuf al Qaradawi, il più ascoltato teologo dei Fratelli Musulmani: «Non si può fare altro che combattere contro l’apostasia individuale per evitare che la situazione peggiori e che le sue scintille non si propaghino, fino a creare una apostasia collettiva. (…) Per questa ragione i musulmani hanno convenuto che la punizione da comminare all’apostata è la morte».
Il fatto gravissimo, ma sempre sottovalutato in Occidente per le sue conseguenze, è che questa vera e propria isteria nei confronti del l’apostasia, della conversione, è un formidabile ostacolo in tutti i paesi islamici per la libertà di pensiero. Mentre non in tutti i paesi islamici l’apostasia viene punita con la morte, in tutti è un grave reato, così come è un reato ogni attività di proselitismo per cui sono previste pene durissime. Questo, anche nei paesi islamici a legislazione cosiddetta laica.
La cosiddetta tolleranza islamica, mai esistita, permette e ammette infatti solo la discendenza patrilineare dei cristiani e degli ebrei (oggi tutti espulsi da tutti paesi musulmani). Puoi essere cristiano solo se sei figlio di un cristiano, se discendi da una famiglia cristiana. Se ti converti da musulmano a cristiano, sei un apostata, e vieni duramente punito. Questa dittatura dell’apostasia, questa negazione assoluta e duramente punita della libertà di pensiero e di religione, viene vissuta oggi da due miliardi di musulmani nel mondo con ovvie e gravissime conseguenze culturali e di democrazia.
Ed è gravissimo che in decenni di sterile dibattito interreligioso, con i suoi interlocutori musulmani, mai la Chiesa cattolica abbia posto con forza il tema della libertà di conversione come espressione della libertà di pensiero ed esigenza inderogabile, addirittura come pre condizione al dialogo stesso. Men che meno lo ha fatto Papa Francesco, che il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi ha firmato con il grande imam di Al Azhar Ahmed al Tayyb il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune. Documento che semplicemente evita il tema, come se fosse ininfluente [vedi].
Il tutto quando, proprio sulla base di una fatwa di condanna per apostasia emessa solennemente proprio da al Azhar, nel 1985 venne impiccato in Sudan Mohammed Taha, grande teologo riformatore, il Lutero dell’islam. Un silenzio della Chiesa e di questo pontificato sul tema dell’apostasia e del divieto di proselitismo di un opportunismo inspiegabile e dalle nefaste conseguenze. Come vediamo oggi con le condanne a morte di sei neocristiani a Tripoli.
1 commento su “Oppressione di pensiero. Il silenzio della Chiesa sulla dittatura dell’apostasia nei paesi islamici”
Il lavoro diplomatico non discreto ma conclamato del vaticano, i.e. di Bergoglio e associati, è quello di convincere tutti che morire per una fede è pura follia:questa o quella pari sono, e perché incapricciarsi di una piuttosto che di un’ altra, come se una fosse meglio dell’altra, e offendere chi tiene per l’altra??